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riccardo parmeggiani I consilia proceduralI per l’InquIsIzIone medIevale (1235-1330) la presente pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo dell’Università degli studi di Bologna e del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca PRin 2007 “identità cittadina e aggregazioni politiche in italia nel lungo periodo (secoli Xi-XV)” Bononia university press via Farini 37 – 40124 Bologna tel. (+39) 051 232 882 fax (+39) 051 221 019 www.buponline.com email: info@buponline.com © 2011 Bononia university press I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi. IsBn: 978-88-7395-658-7 In copertina: Firenze, Biblioteca medicea laurenziana, ms. plut. 7 sin. 2, c. 9r (su concessione del ministero per i Beni e le attività culturali. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo). progetto di copertina e impaginazione: Irene sartini stampa: editograica prima edizione: settembre 2011 SOMMARIO Introduzione Formazione ed evoluzione della procedura inquisitoriale: i consilia premesse metodologiche e criteri di edizione descrizione dei manoscritti utilizzati per le edizioni repertorio dei consilia procedurali per l’Inquisizione medievale (1235-1330) IX XXXvII XXXIX 1 la recezione dei consilia procedurali nei manuali del primo Trecento: alcuni aspetti dell’evoluzione del diritto inquisitoriale a) Testimonianze b) Imposizione di pene pecuniarie c) la gestione dei bona hereticorum: la ripartizione delle conische d) processo post mortem 215 220 233 243 253 conclusioni 259 Bibliograia 263 Indice dei nomi 303 SIGLE DEI CODICI MANOSCRITTI E DELLE FONTI ARCHIVISTICHE Bar = Barcelona, Biblioteca universitària, ms. 241 Bas = Basel, universitätsbibliothek, B X 14 Bo1 = Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 829 Bo2 = Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 1515 Bo3 = Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 1646 Bo4 = Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 1867 do = dôle, Bibliothèque publique, ms. 109 du = dublin, library of Trinity college, ms. c. 5. 19 F1 = Firenze, Biblioteca medicea laurenziana, cod. plut. vII sin. 2 F2 = Firenze, Biblioteca nazionale centrale, conv. sopp. c. 9. 1127 Fe = Ferrara, archivio storico diocesano, Fondo inquisizione, q, I li = linz, oberösterreichische landesbibliothek, cod. 177 lu = lucca, Biblioteca capitolare Feliniana, ms. 221 ma = mantova, Biblioteca comunale Teresiana, ms. 465 sigle dei codici manoscritti e delle fonti archivistiche vII mi1 = milano, Biblioteca ambrosiana, cod. a. 129 inf. mi2 = milano, Biblioteca ambrosiana, cod. H 221 inf. nH = new Haven, Yale university, Beinecke library, ms. 1063 1 pa1 = paris, Bibliothèque mazarine, ms. 2015 pa2 = paris, Bibliothèque nationale de France, cod. lat. 3373 pa3 = paris, Bibliothèque nationale de France, collection doat, 31 pa4 = paris, Bibliothèque nationale de France, collection doat, 36 pd = padova, archivio di stato, s. antonio confessore, vol. 151 re = reggio emilia, Biblioteca panizzi, mss. vari, G 60 ro1 = roma, archivio Generale dei domenicani, cod. II 63 ro2 = roma, Biblioteca casanatense, cod. 969 ro3 = roma, Biblioteca casanatense, cod. 1730 sF = sankt Florian, stiftsbibliothek, XI, 234 si = siena, Biblioteca comunale degli Intronati di siena, ms. G. v. 44 ve = venezia, Biblioteca marciana, ms. lat. Iv, 22 (= 2745) vi = vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, fondo Gonzati, ms. 22.6.30 (311) vl1 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. vat. lat. 2648 vl2 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. vat. lat. 3978 vl3 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. vat. lat. 4031 vl4 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. vat. lat. 4265 vl5 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. vat. lat. 5092 vl6 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. vat. lat. 7193 vo1 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. ottoboni lat. 403 vo2 = città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, cod. ottoboni lat. 1761 W = Wolfenbüttel, Herzog august Bibliothek, Guelf. 315 Helmstedt la descrizione di questo ms., un manuale inquisitoriale francescano tardo duecentesco di area italiana, è disponibile al sito internet http://www.sothebys.com/app/live/lot/lotdetail.jsp?lot_id= 45qc6. 1 ABBREVIAZIONI asoB = acta s. oicii Bononie ab anno 1291 usque ad annum 1310, a cura di l. paolini - r. orioli, 2 voll., roma 1982-1984 (Fonti per la storia d’Italia , 106107). BF = Bullarium Franciscanum, I-Iv, ed. I.-H. sbaralea, romae 1759-1768. Bop = ripoll Th. - Bremond a., Bullarium ordinis Fratrum Praedicatorum, I-III, romae mdccXXIX – mdccXXXI. dBI = Dizionario Biograico degli italiani. Friedberg, I = Decretum Magistri Gratiani, ed. ae. Friedberg (rist. anast. Graz 1959). Friedberg, II = Decretalium collectiones, ed. ae. Friedberg (rist. anast. Graz 1959). potthast = potthast a., Regesta pontiicum Romanorum, 2 voll., Berolini 18741875. sopmÆ = Kaeppeli T. - panella e., scriptores ordinis Praedicatorum Medii aevi, I-Iv, romae 1970- 1993. INTRODUZIONE FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DELLA PROCEDURA INQUISITORIALE: I CONSILIA* la recente e fortunata stagione storiograica legata allo studio del consilium sapientis nell’età del diritto comune1 ha evidenziato, in senso non riduttivo, come questo * la presente introduzione sviluppa con numerose integrazioni il mio precedente Formazione ed evoluzione. desidero esprimere la mia più sincera gratitudine ai professori peter Biller, maria consiglia de matteis, andrea padovani, Berardo pio e paola vecchi Galli per i suggerimenti e l’aiuto ricevuti. analogamente la mia riconoscenza va alla dott.ssa stefania pirli per quanto riguarda la collaborazione al lavoro di descrizione dei mss., così come al personale delle biblioteche visitate, ed in special modo a margherita palumbo della Biblioteca casanatense di roma, ad angelina Fuggi e marika marchese dell’archivio storico diocesano di lucca e a Gilberto scuderi e rafaella perini della Biblioteca comunale Teresiana di mantova. Il ringraziamento principale va ovviamente a chi ha guidato in questi anni con costante attenzione e stimolante confronto la presente ricerca: a lorenzo paolini, cui questo lavoro è dedicato. nelle more di stampa sono apparsi i seguenti lavori, che non si sono pertanto potuti utilizzare: Dizionario storico dell’inquisizione (a. prosperi (dir.), v. lavenia - J. Tedeschi (adiuv.), pisa 2010, 4 voll.); consulter, délibérer, décider. Donner son avis au Moyen age (France-Espagne, Viie-XVie siècles), cur. m. charageat - c. leveleux-Teixeira, Toulouse 2010; W. J. courtenay - K. ubl, Gelehrte Gutachten und königliche Politik im Templerprozeß, Hannover 2010 (m.G.H., studien und Texte, 51). 1 dopo un lungo silenzio seguito al meritorio e pionieristico studio di Guido rossi (consilium sapientis iudiciale) solo sporadicamente gli studi si sono occupati di consilia, peraltro limitati nell’analisi ad un singolo autore (Bellomo, saggio; nicolosi Grassi, analisi). principale arteice di questo rinnovato interesse è mario ascheri, che ha incentrato prevalentemente sul consilium sapientis la propria produzione storiograica: ‘consilium sapientis’; i consilia dei giuristi (1982); analecta; Diritto; le fonti; i «consilia» dei giuristi (2003); i consilia come acta processuali; il consilium dei giuristi (2004). di grande interesse sono anche le recenti miscellanee legal consulting, consilia im späten Mittelalter, consilium. Teorie, nonché l’altrettanto recente volume di manlio Bellomo, i fatti (si veda soprattutto il cap. vIII). si vedano inoltre vallerani, consilia e Gilli, les consilia. di carattere meno generale, ma estremamente utili, sono inine il lavoro di monica chiantini dedicato all’ambito di san Gimignano X introduzione istituto giuridico rappresenti un importante anello di congiunzione tra teoria e prassi, tra cattedra e vita, fonte storica – proprio per questo motivo – unica, privilegiata e ineludibile per la comprensione del factum2. Il consilium, nato per fornire risposte certe agli interrogativi emergenti dalla quotidianità, dimostra tutta la sua vitalità tanto più nella diicile costruzione di un nuovo diritto particolare e fortemente eccettuativo, quale quello inquisitoriale3. nel primo secolo di vita del negotium idei (1230 ca.-1330) il ruolo dei consilia è decisivo, e forse sorprendente – almeno per la dimensione – nella deinizione della normativa e nell’orientamento (forse, nella legittimazione) della prassi, a maggior ragione sul inire del duecento (in particolare dopo la promulgazione del sextus), momento in cui la consulenza relativa alla procedura in linea teorica non avrebbe più avuto motivo d’essere dato che i privilegia papali l’hanno sostanzialmente deinita dopo decenni di incertezza giuridica4. È forse in questo momento che il consilium sapientis riveste il massimo interesse per lo storico del negotium idei, poiché spesso richiesto “a tesi” e in quanto tale illuminante circa i desideri e le sollecitazioni che ne stanno all’origine. la storiograia inquisitoriale si è da sempre occupata dei consilia, ma – pur sottolineandone il valore e l’importanza – è mancato uno studio sistematico e analitico della fonte5. a complicarne l’esame interviene l’ingente mole di consultazioni (il consilium sapientis), quello di ada Grossi riferito a lodi (consilium sapientis), l’approfondimento di antonio padoa schioppa sul ruolo svolto dal consilium sapientis nella giustizia ecclesiastica a milano sullo scorcio del duecento (note, soprattutto pp. 302-304), e le numerose pubblicazioni in tempi ravvicinati dedicate ai consilia di oldrado da ponte: valsecchi, oldrado da Ponte; mc manus, he consilia; schmidt, Die Konsilien. uno studio tipologico consacrato ai consilia medievali in campo medico ha messo in luce la stretta connessione tra quella forma di consulto e quello giuridico, di cui ha probabilmente subìto l’inluenza (agrimi - crisciani, les consilia medicaux). 2 sul pericolo di un’interpretazione limitativa del consilium – e sulle voci dissonanti in proposito da parte di certa storiograia giuridica – tesa a privilegiare eccessivamente il factum a scapito del ius si vedano le pregnanti pagine di manlio Bellomo (i fatti, pp. 465-470). 3 come giustamente notato da lorenzo paolini relativamente all’Inquisizione «molti aspetti della sua procedura e funzionamento contrastavano con il diritto comune, e ciò comportava un lento e faticoso accomodamento a livello giurisprudenziale» (l’eresia e l’inquisizione, p. 403). sulla forte inluenza esercitata dal diritto romano nell’ediicazione della procedura inquisitoriale, si veda maisonneuve, le droit. 4 con il pontiicato di alessandro Iv (1254-1261) si chiude infatti la fase creatrice della normativa (maisonneuve, Études, p. 324), cui seguirà un periodo contraddistinto da una «eicace stabilità dai risultati straordinari» (paolini, Bonifacio Viii, p. 437). per il riordino e la codiicazione delle lettere pontiicie relative al negotium idei si dovette comunque attendere la redazione del sextus (1298); tuttavia anche successivamente a quella data i consilia procedurali continuarono ad essere richiesti. a testimoniare l’importanza del ruolo autoritativo svolto da queste consultazioni sta il loro utilizzo quali fonti decisive in materia di procedura ancora da parte di eymerich nel suo Directorium (1376). 5 come già riconosciuto dal manselli, «ne parlano [ …] tutte le opere sull’inquisizione medioevale» (l’eresia, p. 298 n. 43). così invece si esprimeva a proposito dei consilia antoine dondaine: «le nombre de ces consultations, leur répartition tout au long du premier siècle de l’inquisition permanente, constitue un lieu historique privilégié nous permettant d’apprécier le partage des responsabilités dans la repression introduzione XI procedurali rimaste manoscritte o poco note – nonostante alcuni importanti lavori di edizione di testi in tempi abbastanza recenti6 – nonché l’eterogenea natura e la diformità tipologica dei documenti. per chiarire la deinizione di consilium procedurale occorre sgomberare il campo da alcuni equivoci. Innanzi tutto la consultazione in materia di procedura va tenuta ben distinta dal consilium processuale. la diferenza potrebbe apparire ovvia, ma non è ancora stata percepita con chiarezza dagli storici dell’Inquisizione. la speciicità delle consultazioni processuali – consuetudine invalsa in dagli esordi del negotium idei e, almeno sul piano teorico, obbligatorie prima delle sentenze, ma non vincolanti7 – rende queste ultime estranee all’ambito della nostra ricerca e a tal ine inutilizzabili. esistono tuttavia alcuni casi in cui il conine tra i due tipi di consultazione si fa molto de l’hérésie […] certaines de ces consultations ont joué un rôle décisif dans la formation de la procédure inquisitoriale» (dondaine, le manuel, pp. 89-90). ritengo invece troppo limitativo circa le potenzialità della fonte il giudizio di corinne leveleux-Teixeira, per cui «si l’on fait le choix historiographique d’interpréter l’Inquisition comme une construction essentielment procédurale, il importe de faire ou processus consultatif toute sa place, en lien avec l’analyse des dispositions répressives» (la pratique, p. 175). Già alla ine dell’ottocento si erano pionieristicamente occupati della fonte sia Henry charles lea (storia, pp. 204-205) che camillo Henner (in maniera ben più difusa: Beiträge, pp. 138-153), louis Tanon (Tanon, Histoire, pp. 143-146), célestin douais – quest’ultimo limitando il suo studio ai consilia processuali di area francese (la formule, pp. 316-367; Id., l’inquisition, pp. 289-351) – e, più marginalmente, elphge vacandard (l’inquisition, pp. 165-169). In tempi più recenti le consultazioni sono state prese in considerazione, quasi sempre su casi speciici, da parte di lorenzo paolini (l’eresia, pp. 18-29), marina Benedetti (inquisitori, pp. 124-126), caterina Bruschi (Decostruzione) e corinne leveleux-Teixeira (la pratique). per un approccio di carattere spiccatamente giuridico, relativo più ad alcune quaestiones in tema di eresia che a consilia, si veda anche Bellomo, Giuristi. 6 mi riferisco soprattutto alle edizioni in forma critica dei consilia di Giovanni Gaetano orsini e Benedetto caetani curate da peter Herde (il primo di recente e ampliata riedizione: antworten; Ein consilium). Fra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso furono edite da Kurt victor selge e alexander patschovsky (Quellen) due consultazioni relative ai valdesi – le più antiche dell’Inquisizione, insieme alla nota Raymundi –, mentre lo stesso selge curò l’edizione critica del consilium agli inquisitori elaborato nel concilio di narbonne (Texte). anche la pubblicazione di alcuni manuali inquisitoriali ha agevolato la fruibilità di molte consultazioni, alcune allora inedite (paolini, il «De oicio inquisitionis»; lomastro Tognato, l’eresia). 7 cfr. infra, nota 33. un diverso ricorso ai consilia – né procedurali, né processuali – si veriica anche in altri aspetti della vita del negotium idei: ad esempio in Italia, con le diverse redazioni della licet ex omnibus di Innocenzo Iv ai vertici provinciali degli ordini mendicanti titolari dell’oicium, si stabilì che la nomina e la sostituzione degli inquisitori avvenissero attraverso la consultazione di frati discreti. un analogo provvedimento venne previsto dal ponteice, oltre che per la Francia (dossat, les crises, pp. 102-103), anche per l’aragona, come testimonia la bolla inter alia desiderabilia (20.X.1248; potthast 13057): «Tu vero prior, de consilio seniorum, et discretorum Fratrum prefati [predicatorum] ordinis, ejusdem regni [aragonum] Inquisitores […] auctoritate nostra, removeas, transferasque, alios substituas, vel supersedere facias, cum ex causa rationabili id videris faciendum» (Bop, I, p. 184 n. 203). una forma di consultazione tra inquisitore, vescovo, due frati francescani e due domenicani era necessaria per addivenire alla vendita dei beni coniscati agli eretici secondo la redazione clementina dell’ad extirpanda, qualora il podestà non avesse proceduto in tal senso entro tre mesi (cfr. infra, nota 116 del capitolo dedicato alla recezione dei consilia nella manualistica inquisitoriale). XII introduzione sfumato, soprattutto qualora un procedimento non avesse precedenti cui richiamarsi8: in questi casi il consilium processuale è insolitamente corredato da allegazioni desunte dalle compilazioni giuridiche, in questo assai diverso dai laconici e scarni consulti – e, soprattutto, privi di giustiicazioni – che si ritrovano normalmente negli acta dell’Inquisizione9. I consilia processuali costituiscono in ogni caso una fonte assai rilevante per la storia del negotium idei: alcuni, specie se richiesti in procedimenti di rilievo e comunque con risvolti di carattere generale e – dunque – procedurale, compaiono addirittura all’interno di manuali10. un’altra premessa metodologica riguarda l’opportuna distinzione tra consilia e quaestiones, un genere quest’ultimo per molti aspetti aine al consilium, ma legato per propria natura all’esercitazione accademica11. non sono tuttavia sporadici gli esempi di quaestiones incentrate su aspetti attinenti alla procedura inquisitoriale12. 8 sembrerebbe essere questo il caso del processo postumo condotto nel 1290 dall’inquisitore Florio da vicenza nei confronti di un ebreo convertito, poi tornato all’antica religione (cfr. parmeggiani, l’inquisitore). Il consilium che ne scaturì da parte di dino del mugello e marsilio manteghelli è – per essere un consulto su un caso speciico – in maniera inconsueta integrato da numerosi rimandi al corpus iuris civilis, al Decretum Gratiani, al liber Extra e alla summa dell’ostiense. 9 un chiaro esempio si desume, per l’Italia, dai consilia approntati per gli inquisitori bolognesi tra ine duecento ed inizio Trecento (asoB, II, pp. 596-625), e – per la Francia – dalle consultazioni risalenti agli anni venti del XIv sec. copiate dagli archivi dell’oicium della linguadoca (douais, la formule; Id., l’inquisition). 10 sono tuttavia rari i consilia processuali compresi nei manoscritti inquisitoriali: quando se ne incontrano (ne ho contati solo cinque nei codici da me esaminati) la loro presenza è giustiicata dall’eccezionalità del caso, bisognosa quasi sempre – come visto sopra – di allegazioni giuridiche. È il caso, per fare un esempio, del consilium processuale di un certo Guido Fai inerente all’eventualità di conisca dei beni di una credens defunta, con evidenti risvolti di carattere generale (cfr. consilium n. 15) e dell’inedito consulto – in parte letteralmente identico – sul caso dell’eretico vicentino marco Gallo (per cui cfr. infra, nota 175 in corrispondenza del medesimo consilium n. 15). 11 Bellomo, saggio, pp. 121-122. sul rapporto comunque stretto tra quaestiones e consilia, la cui distinzione non è sempre agevole e netta, si veda Fransen, les questions, pp. 259*-260* e, più di recente, vallerani, il diritto (con attenzione speciica verso la realtà dell’Italia centro-settentrionale nella seconda metà del duecento) e Bellomo, ‘consilia’. 12 celebri professori si cimentarono in quaestiones in materia d’eresia: oltre a quelle studiate da Bellomo (Giuristi, dove vengono analizzate quaestiones di Iacopo Belvisi, riccardo malombra e Giovanni calderini), ne sono state individuate altre – più antiche – grazie ai lavori di candido mesini (Questioni disputate), martin Bertram (Kanonistische Quästionensammlungen) e Giovanna murano («liber questionum in petiis»): si tratta di tre quaestiones inerenti alla procedura inquisitoriale disputate a Bologna dall’insigne canonista Guido da Baiso, l’arcidiacono per antonomasia, consultore dell’oicium negli anni a cavaliere tra duecento e Trecento (marzo 1287: mesini, Questioni disputate, pp. 509-510, n. 34), da Guglielmo de Bonis consiliis (murano, «liber questionum in petiis», pp. 685, n. 59) e da Palmerius de casulis (marzo 1290: ibidem, p. 687 n. 69; cfr. anche condorelli, note, p. 427 n. 45). In realtà una quaestio igura anche nel nostro repertorio: si tratta del documento ascritto a Iacopo d’arena rubricato come consilium (caso non infrequente: cfr. ascheri, Diritto, p. 239) ma che in realtà possiede tutti gli elementi strutturali propri delle quaestiones: l’attacco ex abrupto del queritur, e la presentazione in ordinata successione di pro-contra (le opinioni del maestro Guido da suzzara)solutio. potrebbe sembrare un’incongruenza metodologica, ma siamo di fronte ad un caso unico di introduzione XIII pur con queste premesse rimane diicile approdare ad un’univoca e precisa deinizione di consilium procedurale, stante – innanzi tutto – la variegata gamma documentaria da comprendere sotto questo termine. da un punto di vista sostanziale potremmo sempliicare le diverse tipologie di consilia codiicate dagli storici del diritto, mentre il discorso si complica se afrontato sul piano formale. le consultazioni procedurali sollecitate dagli inquisitori sono generalmente richieste a uno o più consultori esterni ed estranei all’oicium, sia laici che ecclesiastici (in alcuni casi a commissioni miste)13: prevalentemente – se non in maniera pressoché esclusiva a partire dalla ine del XIII secolo – a sapientes laici, spesso celebri docenti dei più prestigiosi studia, ribaltando così una prassi, sufragata dalla più antica normativa, che aveva registrato almeno ino alla metà del duecento la sola presenza di ecclesiastici tra i boni viri preposti al consilium degli inquisitori14. esiste però un’altra forma di “consultazione” relativa alla normativa, vale a dire l’interpretazione autoreferenziale dei privilegia papali inseriti negli statuti cittadini stabilita congiuntamente da inquisitori e vescovi, prassi legittimata dalla Ut commissum vobis di Innocenzo Iv del 1254 – bolla che implicitamente correggeva la prerogativa concessa in via esclusiva pochi mesi prima ai soli giudici della fede, ripristinando così una norma già stabilita contestualmente all’istituzionalizzazione del negotium idei determinatasi con l’ad extirpanda (1252)15 – e, a giudicare dalle fonti, assai difusa tra ine duecento e primo Trecento. pur non trattandosi di consilia in senso stretto (ma come tali percepiti dai copisti dei manoscritti inquisitoriali), è da rilevare come decontestualizzazione. a diferenza delle quaestiones sopra esposte che hanno la loro naturale sede nei libri magni questionum, quello di Iacopo è l’unico documento di tal genere che trova posto in manoscritti inquisitoriali. la recezione snatura dunque l’origine della quaestio, che viene fruita – al di là della forse ingenua rubrica apposta dal copista – come consilium. Intendo approfondire in un prossimo lavoro l’analisi delle quaestiones qui citate. 13 In linea generale si tratta del tipo di consilium deinito da ascheri come «parere richiesto da un uicio a un consultore “pubblico”, al servizio di un ente o di un uicio che vuole conoscere i conini della legittimità entro cui muoversi» (i «consilia» dei giuristi [2003], p. 319). Tra i consilia che si attagliano a questa deinizione lo stesso studioso cita una consultazione procedurale per l’Inquisizione (quella di Benedetto caetani, consilium n. 35; Id., le fonti, p. 29 n. 57). 14 cfr. infra, nota 33. 15 se infatti il papa Fieschi aveva concesso tale facoltà agli inquisitori domenicani il 9.III.1254 con la cum negotium idei (Bop, I, p. 241 n. 318), poco più di tre mesi dopo precisò implicitamente con la Ut commissum vobis, di contenuto pressoché letteralmente analogo, diretta ai giudici della fede di lombardia e della marca Genovese (21.vI. 1254; Bop, I, p. 250 n. 338) come tale pratica, pur senza restrizioni quantitative («quoties in eis [statutis contra hereticos] apparuerit dubium aliquid»), dovesse essere attuata con il concorso degli ordinari diocesani o di loro vicari. In questo senso ristabiliva appunto la validità della norma decretata con la prima stesura della cum negotium idei del 1252 (12.v, diretta agli inquisitori di lombardia, marca Trevigiana e romagna; documento non compreso nel repertorio del potthast, ma attestato dal ms. Bo4, cc. 177v-178r), avvenuta alla vigilia della redazione dell’ad extirpanda di soli tre giorni più tarda. XIv introduzione l’operazione esegetica avvenisse per consuetudine – ma il ponteice canonista non lo aveva previsto – in base ad uno o più consilia sapientum di cui era espressione o ai quali, quantomeno, si uniformava16. allo stato attuale delle conoscenze, non è invece sopravvissuta documentazione relativa ad un’altra modalità di “consultazione”, vale a dire quella frutto di incontri tra soli inquisitori17. si trattava comunque di riunioni i cui consilia rimanevano legati al piano dell’oralità e limitati alla promozione dell’oicium (e, dunque, non inerenti alla procedura)18, oppure di incontri in cui avvenivano scambi di documenti relativi alla normativa inquisitoriale19. dal punto di vista strutturale la tipologia delle consultazioni è quanto mai variegata e sfaccettata: alcune a livello formale non sono nemmeno da considerare dei consilia. spesso consistono infatti in semplici elencazioni (per lo più relative all’ordo processuale: cum nuper del cardinale pietro da collemezzo20, l’anonimo Hic est modus21), generici consigli non motivati da speciiche domande (è il caso delle consultazioni francesi di origine conciliare22), risposte a quesiti prive comunque di allegazioni giuridiche (consilia di Giovanni Gaetano orsini23, consilium di dino del mugello e lambertino ramponi al comune di prato24, consultazioni sul tema degli ebrei25) o con riferimento alle sole decretali, per poi approdare al classico consulto dotto opera di insigni giuristi (Francesco d’accursio26, dino del mugello27 ecc.) sufragato da copiosi rimandi alle compilazioni normative sia canonistiche che civilistiche. Il termine consilium risulta dunque molto dilatato, a volte attribuito In un solo caso – tra gli esempi inora noti – nell’interpretazione non si accenna alla consultazione di sapientes: cfr. infra, consilium n. 49. l’esegesi riguarda quasi sempre la bolla ad extirpanda ed in particolare i passi relativi alla ripartizione dei bona hereticorum. 17 Benedetti, le parole, p. 131. 18 cfr. la disposizione del capitolo provinciale dei domenicani tenutosi a Faenza nel 1273 citato dalla stessa Benedetti: gli inquisitori sono tenuti a incontrarsi annualmente «ut et eis capitulum tenere possit et ipsi inter se conferre valeant de hiis que ad promotionem oicii sui spectare videbuntur [c.n.]» (ibidem). 19 cfr. ad esempio, benché il fatto sia da riferire a due inquisitori appartenenti ad ordini diversi, la testimonianza contenuta all’interno del cod. ro3, relativa alla donazione di un consilium da parte del frate predicatore Guido, titolare dell’uicio “lombardo”, al collega minorita Grimaldo da prato, inquisitore a Firenze (opitz, Über zwei, p. 90). 20 cfr. consilium n. 10 del repertorio. 21 consilium n. 11 22 consilia nn. 5 (narbonne, 1243/1244), 7 (Béziers, 1246). le consultazioni frutto di queste assemblee non vanno confuse con i canoni delle medesime assise; per una recente rilettura dell’intensa stagione sinodale della linguadoca tra XIII e XIv sec., cfr. vidal, les conciles. 23 consilia nn. 14, 19. 24 consilium n. 43. 25 consilia nn. 30-32. 26 consilia nn. 21-22. 27 consilia nn. 36-38 (pareri giuridici approntati congiuntamente al canonista marsilio manteghelli). 16 introduzione Xv impropriamente. ad assicurare tuttavia un minimo comune denominatore a questi documenti così eterogenei e a consentirne una percezione organica ed unitaria concorrono i manuali procedurali. la loro struttura, almeno nei testi duecenteschi, prevede un’intera sezione dedicata ai consilia, dove trovano posto le diverse tipologie sopra citate28. l’arco cronologico considerato per la nostra indagine abbraccia l’intero primo secolo di vita dell’Inquisizione, partendo dagli esordi (i consilia più antichi risalgono al 1235) per giungere al 1330 ca. a ridosso di quella data, infatti, la manualistica inquisitoriale conseguirà attraverso la Practica inquisitionis di Bernard Gui, l’anonimo De oicio inquisitionis e – soprattutto – il Tractatus de hereticis dell’avvocato riminese zanchino ugolini, veri e proprî codici di procedura, i più maturi risultati del suo primo secolo di vita. a questo punto, come evidenziato da antoine dondaine, tramonta la fortunata stagione dei consilia procedurali29, nonostante sporadiche e occasionali consultazioni ricorrano ancora in epoca successiva30. nel corso di questo secolo di produzione consiliare si registra dal punto di vista cronologico e quantitativo uno iato profondo tra i documenti di origine francese (meglio, della linguadoca) e quelli di origine italiana in virtù di un diferente In generale sulla manualistica inquisitoriale, oltre all’imprescindibile studio di antoine dondaine (le manuel), si vedano i recenti lavori di homas scharf (schrift), lorenzo paolini (inquisizioni medievali) e riccardo parmeggiani (Un secolo). 29 In particolare con il Tractatus de haereticis di zanchino avviene un cambiamento radicale: in fatto di legislazione inquisitoriale ci si riferisce direttamente e in forma quasi esclusiva alle compilazioni normative sia civilistiche che canonistiche, nonché alle opere di relativo commento realizzate da giuristi del calibro di Guido da Baiso e Giovanni d’andrea. ormai, «le rôle joué jusqu’ici par les consultations s’estompe» (dondaine, le manuel, p. 122). I consilia del secolo precedente sono a questo punto pressoché soppiantati – nel Tractatus essi sono auctoritates praticamente assenti, eccezion fatta per un paio di riferimenti al consilium di Gui Foucois, futuro clemente Iv –, poiché «les juristes s’emparent du fait inquisitorial, considéré, jusqu’alors, au moins théoriquement, comme un fait juridique d’exception, et tentent de le normaliser en l’intégrant à leur objet propre» (ibidem, p. 123). con zanchino accade che per la prima volta l’autore di un manuale sia un giurista di professione, mentre gli inquisitori arteici delle opere precedenti erano generalmente, come si vedrà, digiuni di studi giuridici. 30 a pochi anni di distanza dal terminus ante quem della nostra ricerca – tra il 1336 e il 1349 – l’inquisitore francescano di romagna Iacopo signorelli richiese la consulenza del noto canonista paolo liazari relativamente all’interpretazione corretta di un passo del titolo De haereticis contenuto nelle clementinae (piana, chartularium, pp. 381-382). all’incirca agli stessi anni (tra il 1335 e il 1343) risalgono i pareri giuridici di area boema con ampi risvolti procedurali relativi al processo condotto contro un oreice di Brno, Heynuš lugner, editi da alexander patschovsky (Quellen zur Böhmischen, pp. 259-312). nel ms. Bo1 (cc. 273r-282v) trova spazio un consilium procedurale del Xv sec. del canonista padovano iacobus de contis, mentre – ed è un caso limite – addirittura al 1506 risale un consulto richiesto da Giovanni cagnazzo da Taggia (e ancora a quell’epoca con intenzioni ermeneutiche circa l’ad extirpanda; cfr. Bellomo, Giuristi, pp. 175-177). anche i consilia di Giovanni calderini al titulus De haereticis del liber Extra risalgono con ogni probabilità ad anni posteriori al 1330 (consilia, f. 56ravb – l’ultimo è confezionato in concorso con Giovanni d’andrea –; i pareri legali successivi posti sotto lo stesso titulus – f. 56vb-57rb – sono invece opera del iglio del calderini, Gaspare). 28 XvI introduzione livello di consolidamento della procedura conseguito precocemente nel midi grazie all’interventismo dell’episcopato locale e all’opera di importanti legati papali quali Jean de Bernin, arcivescovo di vienne, e pietro di collemezzo, cardinale vescovo di albano. I consilia diretti agli inquisitori elaborati dagli ecclesiastici riunitisi nei concilî di narbonne (1243) e Béziers (1246) furono decisivi per la cristallizzazione dell’ordo processus, la cui ossatura fu recepita anche in Italia. la ricca e intensa stagione delle consultazioni procedurali transalpine, durata un ventennio circa (1235-1255), apparentemente si arresta poco dopo la metà del XIII secolo in un ideale passaggio di testimone con la nostra penisola, in perfetta coincidenza – per luoghi e tempi – con quanto avviene per la manualistica31. Il consilium procedurale nacque dunque contestualmente al negotium idei – probabilmente in quanto naturale ed inevitabile conseguenza della genesi frettolosa e confusa dell’inquisitio hereticae pravitatis32 – ma in nessun documento papale troviamo la legittimazione del ricorso ai sapientes, se non in ambito esclusivamente processuale. Infatti, nonostante sia stato scritto che il consiglio di sapienti venne istituito nel 1254 da Innocenzo Iv – mentre in realtà si trattava di una prassi già da tempo ampiamente difusa (almeno dalla metà degli anni Trenta) ed approvata dalle direttive pontiicie33 – il privilegium ritenuto probante non si riferisce alle parmeggiani, Un secolo, pp. 257-258. la committenza dei consilia procedurali richiesti in Italia non è uniformemente ripartita tra le diverse province inquisitoriali: la maggior parte delle consultazioni sopravvissute, nonostante l’incerta attribuzione di molte di esse, sono state richieste in “lombardia” – o, quanto meno, nell’Italia settentrionale –, in romagna e in Toscana. un solo caso è forse riconducibile alla provincia umbra, nessuno con certezza alla provincia “romana” né a quella marchigiana. 32 “a tentoni” secondo l’eicacissima formulazione di olivier Guyotjeannin, inquisizione. per la fase gestazionale e per il periodo delle origini dell’Inquisizione, limitandoci ai lavori più recenti, il riferimento va obbligatoriamente agli interventi del convegno di Bayreuth del 1992 conluiti nel volume Die anfänge. pur con una rilettura più sintetica, si vedano utilmente anche paolini, Papato; merlo, le origini; piazza, inquisizione. per quanto riguarda la realtà italiana vanno inoltre segnalati i recenti contributi dello stesso andrea piazza incentrati sulla politica antiereticale di onorio III e Gregorio IX («Heretici»; «ainché») e sul precoce coinvolgimento dei minori nella medesima direzione antieterodossa (alle origini). una panoramica di carattere diacronico destinata ad un ampio pubblico è stata inine di recente fornita da del col, l’inquisizione. 33 addirittura, come notato dallo Henner, già durante il pontiicato di Gregorio IX: cfr. ad es. le bolle Dolemus et vehementi (21.X.1233; potthast, n. 9315) e Dudum ad aliquorum (21, 23.vIII.1235; potthast 9993, 9995) dirette rispettivamente all’arcivescovo di Treviri e al priore dei domenicani in Francia (cit. in Henner, Beiträge, p. 139); se nel primo documento l’accenno è inequivocabilmente da riferire ai consilia processuali, nel secondo la formulazione è vaga («per universum regnum Francie passim contra hereticos cum prelatorum et aliorum fratrum religiosorum sapientum quoque consilio ea cautela [fratres] procedant ut innocentia non pereat et inquitas non remaneat impunita»; testo in Bop, I, p. 80 n. 137). In ogni caso già qualche mese prima di quella data sono attestati ben tre consilia procedurali: il consilium ‘credo’ o nota Raymundi di ramón de peñafort (consilium n. 1) la consultazione del citato legato pontiicio Jean de Bernin (10.v.1235; consilium n. 2) e quella di alcuni giuristi di avignone relativa ai valdesi (consilium n. 3). Il primo di questi consulti è particolarmente signiicativo, in quanto non solo il compilatore del liber Extra suggerisce di ricorrere alla pratica della consultazione, 31 introduzione XvII intesa nell’accezione più larga possibile e, dunque, con riferimento anche alla procedura («licet dubitationes vestrae essent per se apertae, vel per viros religiosos et peritos, quorum credo vos habere copiam, terminandae, ut tamen mea debilitas, vestrae non videatur nolle satisfacere charitati, utcumque debiliter quantum in me est, ad praesens satisfacere procuravi, rogans, et supplicans et consulens ut a bonis, et peritis nihilominus super ijs ad cautelam consilium habeatis»; cfr. consilium n. 1), ma ciò che più conta è che tale esortazione risulta contenuta in un documento che fu parte integrante di una lettera inviata da Gregorio IX, per cui è lecito dedurne che il ponteice approvasse almeno indirettamente – ma, con l’invio, fattivamente – il ricorso ai consilia procedurali. anche uno dei più antichi manuali inquisitoriali, l’ordo processus narbonensis (1244), prescriveva la pratica della consultazione, ma in ambito processuale: «omnes condempnationes et penitentias quas majores fecimus et facere proponimus non solum de generali sed etiam de speciali sigillato consilio prelatorum» (ed. selge, Texte, p. 75); «providemus […] caute tam eis contra quos Inquisitio it quam testibus, juxta sanctum consilium prelatorum» (ibidem, p. 73). quella di consultare, prima di emettere la sentenza e renderla pubblica, un certo numero di personalità ecclesiastiche (ma anche laiche) scelte in base alla loro competenza, era una prassi all’epoca già in vigore (dossat, les crises, p. 208; cfr. anche un consilium di ramón de peñafort risalente alla ine degli anni Trenta e relativo a speciici procedimenti, da ultimo ripubblicato in S. Raimundus Pennaforte, cur. diez - ochoa, coll. 1049-1050 n. III). per l’efettivo rispetto di questa norma fu fondamentale l’intervento del legato papale pietro da collemezzo; nella sua ordinatio del 1245/1246 (cfr. consilium n. 6) si dispose: «perjuris ad perjurum alios inducentibus, hereticorum hospitibus ductoribus eorum, questoribus eorum scienter, istis parcatur si manifesta signa conversionis appareant, cum quibus, de consilio diocesanorum [c.n.], misericorditer in penitentiis injungendis agi poterit circa penam relegationis, perpetue immurationis, publicationis bonorum»; e «sic et aliis licet deprehensi fuerint et multum culpabiles inventi, si revertantur ex corde, iat gratia in premissis, sed alie penitentie arbitrarie pro qualitate delictorum, de consilio prelatorum [c.n.], injungantur eisdem» (ibidem, p. 349). un’ulteriore conferma dell’apparente esclusività della componente ecclesiastica nel ruolo di consulenza dell’oicium è fornita da un documento omogeneo dal punto di vista geograico e cronologico: si tratta di un consilium processuale richiesto dall’arcivescovo di narbonne Guillaume de la Broue, i cui autori – un abate e i titolari delle principali dignità diocesane – sono ricordati nella sentenza emessa nel gennaio 1251 (cfr. douais, Documents, pp. lxx-lxxi). l’obbligatorietà della consultazione fu poi ribadita dallo stesso pietro da collemezzo nella lettera all’arcivescovo di narbonne (7.III.1246) con cui fu richiesta la convocazione del concilio di Béziers (consilium n. 7). È diicile tuttavia valutare la reale portata della consultazione all’epoca di quel manuale. sulla scorta di alcune fonti (dossat, les crises, pp. 208-211) è da supporre che questa prassi fosse poco più che un atto formale. ne darebbe conferma il fatto che essa, come apprendiamo da un coevo registro dell’Inquisizione, precedeva immediatamente il sermo generalis conclusivo, facendo così dubitare dell’efettiva importanza di questa riunione tenuta all’ultimo momento. dossat aferma che i prelati consultati dovevano soltanto investire della loro autorità sentenze immutabili. altri atti ci informano addirittura di pene comminate appena terminata la confessione degli inquisiti: forse proprio in virtù di questi eccessi, all’indomani della lunga crisi attraversata dal negotium idei in linguadoca, per cui gli inquisitori sospesero la propria attività dal 1249 al 1255, alessandro Iv ritenne opportuno sollecitare i giudici della fede al ricorso al consilium in sede processuale con la bolla cupientes quod (15.Iv.1255; potthast 15804). anche per quanto riguarda l’Italia sappiamo che la prassi della consultazione era in vigore già alcuni anni prima della bolla innocenziana: ce ne forniscono indirettamente la conferma due sentenze pronunciate a Firenze tra il 1244 e il 1245 dall’inquisitore domenicano ruggero calcagni. nella prima si legge come il titolare dell’oicium avesse proceduto al giudizio dopo aver consultato dei confratelli («habito consilio nostrorum fratrum»), mentre nella seconda la formulazione è più generica, segno forse di un allargamento oltre i conini dell’ordine nel reclutamento dei sapientes («de consilio sapientum […] pronuntio et sententio»; cfr. Tocco, Quel che non c’è, rispettivamente pp. 38 [n. 4], 53). anche in area austriaca – benché con esempliicazione cronologicamente più tarda, risalente agli anni a cavaliere tra due e Trecento – venne concesso agli inquisitori di avvalersi di sapientes, come dimostra il mandato di XvIII introduzione consultazioni procedurali (così come la ben più tarda Ut commissi vobis di Bonifacio vIII, inserita nel sextus), bensì ai consilia processuali34. Già alcuni anni prima il legato pontiicio pietro da collemezzo nella lettera di convocazione del concilio di Béziers (7.III.1246) aveva riafermato l’obbligatorietà della prassi consultiva, con riferimento forse – benché la formulazione ambigua impedisca un giudizio netto – anche al consulto procedurale35. In ogni caso, nel primo manuale di origine italiana, l’Explicatio super oicio inquisitionis (1262-1277), la consulenza da parte di sapientes in materia procedurale delega del vescovo di passau, Bernardo di prambach (cit. in segl, Ketzer in Österreích, p. 298 n. 125). che già nella prima metà del duecento anche al di fuori dell’ambito inquisitoriale il consiglio di sapienti fosse una prassi in voga lo aferma Giovanni de Deo: «est etiam approbata consuetudo ut non feratur diinitiva sine consilio sapientum» (desumo la citazione da ascheri, le fonti, p. 31). nonostante sembri dunque che la norma della consultazione in sede processuale sia stata sempre formalmente rispettata, si veriicarono comunque alcuni abusi: una testimonianza più tarda contenuta nella collectoria 251 dell’archivio segreto vaticano, ci informa infatti come l’inquisitore toscano mino da s. quirico, attivo tra gli anni venti e Trenta del XIv sec., «licet in pluribus sententiis dicat ‘de consilio sapientum’, nullum aut raro requirit consilium ab eisdem» (c. 74v; cit. anche da Biscaro, inquisitori ed eretici a Firenze [1933], p. 187 e Bruschi, inquisizione, p. 320 n. 92). un probabile accenno alla prassi consultiva nei procedimenti antiereticali si trova anche nella summa del teologo e inquisitore rolando da cremona, scritta presumibilmente nei primi anni Trenta del XIII sec. e, dunque, in concomitanza con gli esordi del negotium idei: «potest distingui quadruplex eradicatio zizanie, sicut distingunt iuris periti, quia quedam est festinata, quedam suspitiosa, quedam dampnosa, quedam autem legittima. […] [eradicatio legittima] est que it cum deliberatione magna et discretione et conscilio scientie [c.n.[» (cortesi, summae, p. 1366 [7]). Intendo approfondire in altra sede lo studio delle consultazioni processuali. 34 della veneria, l’inquisizione medievale, p. 140. Il riferimento è alla Ut commissum vobis di Innocenzo Iv (21.vI.1254; potthast 15432, 15433), dove si speciica: «sane si accusatoribus aut testibus quos a vobis vel aliis vice vestra super crimine heresis recepi contigerit publicatione nominum eorundem videritis periculum imminere eorundem nomina non publice, set secrete coram aliquibus personis providis et honestis, religiosis et aliis ad hoc vocatis de quorum consilio ad sententiam vel condempnationem seu absolutionem canonice procedi volumus exprimantur» (BF, I, p. 745 n. 564). Tale disposizione fu recepita ad unguem in altre bolle di ponteici successivi, precisamente nella medesima Ut commissum vobis nella versione di alessandro Iv, nella licet ex omnibus e nella Pre cunctis di clemente Iv (quest’ultima – il cui originale è tuttavia di alessandro Iv – conobbe a sua volta nuove promulgazioni da parte di Gregorio X e niccolò Iv). In realtà anche la norma presente nella redazione clementina della licet ex omnibus è frutto di una riproposizione, in quanto già introdotta da urbano Iv nella bolla avente il medesimo incipit (20.III.1262; potthast 18523; testo in Bop, I, pp. 417-419 n. 4: il passo speciico si trova a p. 418). la disposizione introdotta dalla Ut commissum di Innocenzo Iv fu inine recepita nel sextus, tuttavia nella redazione bonifaciana (vI. 5.2.12). all’obbligo della consultazione – come ci informa il De auctoritate, manuale ad uso degli inquisitori “lombardi” composto sullo scorcio del duecento – i giuristi non potevano sottrarsi: la diicoltà che poteva insorgere «ex defectu iurisperitorum, quia forte nolunt eis [inquisitoribus] consulere, […] tollitur, quia possunt eos cogere ad consilium impendendum» (vl1, c. 57vb). 35 «negotii tamen qualitate pensata, volumus, et authoritate domini papae vobis mandamus, quatenus praedictis inquisitoribus injungatis, ut in haeresis negotio cum vestro, diocesanorum, seu aliorum prelatorum consilio quos expedire viderint, juxta formam in talibus consuetam, et litteras apostolicas ei missas, procedere non omittant» (cfr. consilium n. 6). introduzione XIX era prevista: «In credentibus […] [forma inquisitionis] iet, secundum quod consilium super eis habueris a iure peritis. et quod consilio tali acceperis, scribi facies et ordinarie observabis»36. questa tipologia di consultazione sembra dunque conigurarsi come una consuetudine tacitamente approvata e legittimata anche dai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica. ne darebbero conferma proprio in quegli anni due distinte serie di Responsiones del cardinale (e futuro papa) Giovanni Gaetano orsini – cosiddetto inquisitor generalis37 – in cui si sollecitano gli inquisitori a rivolgersi sui dubbi più spinosi ai giuristi di professione. In particolare in un consulto ino ad ora inedito sollecitato all’orsini da Bentivegna da Todi nel 1270 ca. il porporato è molto chiaro: «vos sollicitamus ut super predictis et aliis que occurrerunt moderno tempore […] recuratis ad conscilia peritorum»38. del resto, i vuoti normativi congeniti alla rapida e per certi versi frettolosa gestazione del negotium idei non vennero colmati a suicienza dalla pur abbondante produzione di decretali in materia di procedura inquisitoriale avvenuta durante i pontiicati di Innocenzo Iv e alessandro Iv. era dunque spesso giocoforza per i titolari dell’oicium chiedere lumi su alcuni aspetti della normativa, probabilmente a quell’epoca senza la malizia che, come vedremo, caratterizzerà il ricorso ai sapientes almeno a partire dall’ultimo ventennio del duecento. d’altronde anche i vertici della curia romana erano consapevoli dell’assenza di precise direttive su alcuni aspetti particolarmente spinosi della procedura. così, ad esempio, si esprime il cardinale orsini nel consilium appena citato a proposito delle spese relative al mantenimento degli eretici reclusi: «ad questionem de expensis iendis circa carceratos et custodes, illud non est ro3, c. 140ra. per un orientamento sul manuale, di cui è stato recentemente segnalato un secondo testimone e di cui sto preparando l’edizione, si veda parmeggiani, Un secolo, pp. 235-236. 37 sull’incerta qualiica di inquisitor generalis per l’epoca medievale si rimanda a Benziger, Dezentralisierung e a parmeggiani, inquisizione, soprattutto pp. 132-144. 38 cfr. infra, consilium 19. anche nella consultazione edita da peter Herde (consilium n. 14) in alcuni casi il futuro niccolò III evitò di pronunciarsi rinviando alla consulenza di esperti di diritto (ad es. qq. 8, 31: antworten [1991], pp. 356, 360). 36 XX introduzione adhuc plene ordinatum [c.n.]. unde provideatis interim sicut potestis»39. ancora negli anni ottanta del duecento il cardinale Benedetto caetani, futuro Bonifacio vIII, nel prospettare in un noto consilium richiesto dall’inquisitore di romagna le diverse posizioni sui tempi di estinzione dell’azione penale nel processo post mortem, aferma che «numquam invenitur casus bene expressus»40. la creazione della igura di un referente per gli inquisitori nella persona di Giovanni Gaetano orsini, ino ad oggi ascritta ad urbano Iv (1262), ma che va ora retrodatata e attribuita al predecessore alessandro Iv (1260)41, determina di fatto un radicale mutamento nelle modalità di richiesta di chiarimenti procedurali da parte dei giudici della fede italiani. Fino ad allora soprattutto, ma non esclusivamente, nella nostra penisola – la situazione in linguadoca è come abbiamo visto ben diferente – i titolari del negotium idei erano soliti rivolgersi direttamente al ponteice: se tre sole lettere chiariicatrici si riferiscono al pontiicato di Gregorio IX42 ed una a quello cfr. infra, consilium 19. consilium n. 35. 41 si era inora ritenuto che tale designazione avvenisse ad opera di urbano Iv con la bolla cupientes ut negotium del 2.XI.1262 (BF, II, pp. 452-453 n. 43); tuttavia, come era già stato sottolineato di recente, Giovanni Gaetano orsini esercitava già da qualche tempo le funzioni previste dalla cupientes (michetti, Frati minori, pp. 65-66; parmeggiani, inquisizione, pp. 139-140). nel ms. Bo4 (c. 202r) si conserva una copia del Xv sec. di un esemplare della medesima bolla – assolutamente identica per contenuti – scritta da alessandro Iv il 23.XII.1260 e anticamente custodita presso l’oicium di mantova, come evidenzia una postilla di mano coeva aggiunta a margine del documento (Mant(ue) in plumbo). data l’importanza storica del documento se ne fornisce di seguito l’edizione, avvertendo preliminarmente che verranno rispettate le particolarità graiche e mantenute le oscillazioni (ad es. tra negocio et negotio, inpedimenta e impedimenta) del ms. bolognese: «alexander 4. episcopus servus servorum dei, dillectis iliis fratribus ordinis predicatorum inquisitoribus heretice pravitatis in lombardia et marchia Ianuensi, salutem et apostolicam benedictionem. cupientes ut negocium catholice idei vobis ab apostolica sede comissum feliciter in vestris manibus prosperetur, volumus et presentium vobis auctoritate precipiendo mandamus quatinus in eodem negocio de divino et apostolico favore conisi constanter ac intrepide omni humano timore postposito iuxta formas super eo vobis traditas procedatis. si vero aliqua inpedimenta sive ex defectu sociorum seu ex quacumque alia causa in predicto negotio vobis emiserunt (per emerserunt), secure propter hoc ad dillectum ilium nostrum I(ohannem) sancti nicholai in carcere Tulliano dyaconum cardinalem, quem eidem prefecimus negocio, recuratis impedimenta huiusmodi signiicantes eide<m>, ut nos per cardinalem eundem super hiis suicienter instructi, contra impedimenta eadem congruis et oportunis remediis obviemus. nostre namque irme ac stabilis intencionis existit ut quibuslibet obstaculis et impedimentis omnino submotis, dictum negocium quod plurimum insidet cordi nostro, felicem habeat domino auctore progressum ad laudem et gloriam divini nominis et christiane religionis augmentum. datum lateranum, .X. kalendas ianuarii, pontiicatus nostri, anno .vII. amen». urbano Iv provvide dunque ad estendere ad altre province inquisitoriali le funzioni già esercitate (forse in forma sperimentale) dall’orsini per la lombardia. 42 si tratta della bolla commendantes in Domino del 17.vI.1233 (potthast 9235; testo in Bop, I, p. 55 n. 84) con cui il ponteice risponde ad un dubbio degli inquisitori per Burgundiam a proposito dei relapsi e delle due lettere Ex parte tua dirette al vescovo eletto di Tarragona il 30.Iv.1235 (les registres de 39 40 introduzione XXI di Innocenzo Iv (cum in constitutionibus)43, ben sette risultano essere le bolle in forma di consilium di alessandro Iv44. In tempi successivi, benché la manualistica e anche i consilia continuassero a prevedere il ricorso diretto al papa su eventuali dubbi procedurali45, non sono attestati altri documenti analoghi, se non in un caso Grégoire iX, II, nn. 2531-2532, coll. 41-42) incentrate rispettivamente sulle forme sospette di abiura e nuovamente sul tema dei relapsi. 43 29.vII.1254, potthast 15474; se ne veda un’edizione recente in Bronzino, Documenti (1980), p. 56 n. 23. Il dubbio riguarda la distruzione, prevista dall’ad extirpanda, delle proprietà immobili degli eretici, in particolare delle torri («nostro petistis certiicari responso quid sit de turribus» ecc.). la bolla innocenziana venne poi riproposta da niccolò Iv nel 1288 (23 dicembre; les registres de nicolas iV, I, p. 82 n. 431). In un altro caso papa Fieschi venne interpellato in materia procedurale dal provinciale domenicano di lombardia (1251): tuttavia la consulenza venne demandata dal ponteice al cardinale pietro da collemezzo, probabilmente in ragione tanto della speciica competenza acquisita dal porporato in linguadoca, quanto dell’ampio spettro di problemi prospettati (cfr. consilium n. 10: «cum nuper dominus papa tibi preceperit ut per te ac per fratres tuos consistentes ad extirpandum de lombardia et romaniole provinciis hereticam pravitatem, et super hoc eodem quibusdam fratribus tui ordinis literas direxerit speciales, tu que mandata sicut volens provide adimplere, summum pontiicem super modo procedendi et aliis dicte idei negocium spectantibus consulere decrevisti [c.n.]. nos igitur, cui idem dominus hoc commisit, deliberacione super hiis prehabita diligenti, tibi ac ceteris fratribus tue cure commissis ad dictum oicium deputatis aut eciam deputandis, de ipsius domini auctoritate, modum procedendi tradimus subsequentem […]»). 44 oltre alle note Quod super nonnullis (27.IX.1258, potthast 17382) e super eo quod (26.IX.1258, potthast 17381; ma già del marzo 1257: cfr. Bo4, c. 141r) citate da Benziger (Dezentralisierung, p. 91 n. 89) ne ho contate almeno altre cinque: Felicis recordationis (6.III.1257, potthast 16764), Ex parte tua (24.IX.1258, potthast 17377, coincidente nella sostanza, a parte l’uso del plurale per il destinatario, con la Ex parte vestra del 13.XI.1258, potthast 17400), Quesivistis an alicui (28.v.1260, potthast 17875), consultationi vestre (28.v.1260, potthast 17876), consuluit nos (30.v.1260, potthast 17877). al di là di una semplice formulazione retorica – anche alla luce del copioso intervento consultivo operato da quel ponteice – mi pare che nella bolla ad audientiam nostram del 23.I.1260 diretta dallo stesso alessandro Iv agli inquisitori umbri sullo scottante tema dei redeuntes possa intravedersi una forma di consapevolezza del naturale ruolo di consultore esercitato dal papa («quia vero nostri decet appositione consilii [c. n.] super hoc [hereticos redeuntes] salubriter providere», in BF, II, p. 743 n. 560). Fu forse questa intensa attività di consulenza – concentrata, tra l’altro, nel giro di pochissimi anni – dovuta alle diicoltà che gli inquisitori incontravano nell’esercizio delle loro funzioni a suggerire al ponteice la designazione di un referente nella persona del cardinale orsini. 45 così nell’Explicatio super oicio inquisitionis: «super incarcerandis autem de locis et expensis facies cum episcopo civitatis; et si expediens fuerit dominum papam consules et dominum Johannem Gaietanum, ne sic redeuntibus salutis per iudicium ullum iat» (ro3, c. 141rb). Benziger vede in questo passo una priorità gerarchica: «erst der papst dann der orsini [all’epoca coordinatore del negotium idei]» (Dezentralisierung, p. 81 n. 46). un’analoga eventualità consultiva – invero disattesa – si trova nella bolla Paupertatis altissimae professoribus di clemente Iv (viterbo, 12.vI.1266, potthast 19691), dove il ponteice esprime la sua disapprovazione circa la condotta dell’inquisitore attivo a marsiglia, Guillaume Bertrand, per non essersi rivolto al papa stesso o al cardinale orsini in un frangente particolarmente delicato («idem F. G. Bertrandi deferre debuit, suadente justitia; etiamsi non fuerit legitima; et contra Fratres dicti ordinis [minorum] non tam cito procedere; sed nos potius, aut dilectum Filium nostrum Johannem Tituli sancti nicolai in carcere Tulliano Diaconum cardinalem consulere debuisset [c. n.]»; traggo la citazione da Grieco, Franciscan inquisition, p. 285 nota 46). ancora nel 1286 il cardinale Bentivegna da Todi interpellato dall’inquisitore umbro monaldo circa lo svolgimento dei processi nella diocesi di amelia, stante la vacanza della locale sede episcopale, suggerisce al richiedente di consultare preventivamente il ponteice (mariano d’alatri, il cardinale, pp. 309-312). l’avvertenza «tunc forte esset summus pontifex consultandus» XXII introduzione da parte di niccolò Iv46 e in un altro da parte di Benedetto XI47. va comunque tenuto presente come queste lettere pontiicie – per quanto si possano equiparare a vere e proprie consultazioni e come tali fossero considerate nei manuali “ragionati” di ine duecento – costituiscano una diversa tipologia documentaria e siano diferenti anche da un punto di vista sostanziale: i privilegia papali sono direttive vincolanti, i consilia suggerimenti48. a sottolineare ulteriormente il valore normativo e il carattere universale di queste decretali/consultazioni sollecitate “dal basso” – soprattutto di quelle di alessandro Iv – concorre la loro riproposizione in tempi e luoghi diversi anche da parte di ponteici successivi: molte vennero addirittura recepite all’interno del sextus, dove formano un blocco omogeneo (vI. 5.2.3-8)49. ribadisce come la consulenza diretta del papa in tema di procedura – al di là di ogni pur autorevole intervento cardinalizio – non solo continuasse ad essere in vigore, ma come il ricorso al ponteice rappresentasse ancora l’estrema e decisiva istanza di appello da parte degli inquisitori. Il discorso era valido anche per casi limite che, pur in presenza di una speciica regolamentazione, potevano richiedere un’applicazione pratica di fatto eccettuativa: così, ad esempio, il cap. IX del consilium di narbonne del 1243 (consilium. n. 5) suggeriva agli inquisitori di temporeggiare in presenza di comunità ereticali di notevoli proporzioni, rinviando le condanne al carcere su vasta scala in attesa di un pronunciamento del papa: «de haereticis autem seu credentibus, praefata immunitate, quia veritatem de se vel de aliis suppresserunt, vel quia infra tempus indulgentie non venerunt, seu alias indignis, paratis tamen absolutis mandatis ecclesie obedire, et recognoscere quam vel suppresserant, vel negaverant veritatem: quamvis tales proculdubio sint secundum statuta domini papae in perpetuo carcere detrudendi: quia tamen intelleximus vos de his tantam in pluribus partibus multitudinem invenisse, ut nedum expensae, sed vix etiam lapides aut caementa suicere possint ad carceres construendos: consulimus ut eorum immurationes, ubi expedire videbitur, diferatis, donec ipse dominus papa de illorum multitudine plenius sit consultus». analogamente Gui Foucois – futuro clemente Iv – consigliò attorno al 1255 agli inquisitori di linguadoca di consultare il ponteice in presenza di ecclesiastici renitenti nei confronti dell’oicium (consilium n. 12, q. X: «sed quid dicemus de praelatis, qui nolunt facere carceres, vel similia, que ad promotionem idei pertinent, respondeo cum id non ad favorem haereticorum, sed ex avaritia faciant non dico fautores, et ideo consulo fratribus, quod de illis non se intromittant, sed apostolicam sedem consulant»). ancora molto più tardi (1330 ca.) zanchino ugolini aferma come «si propter iuris dissonantiam vel varias doctorum opiniones dubietas remaneret; est sedes apostolica consulenda» (ed. campeggi, p. 116). anche in un consilium anonimo contenuto nel ms. F1 richiesto dagli inquisitori francescani dell’Italia centrale prima del 1298 circa la destinazione della terza parte delle conische destinata agli uiciali in caso di loro mancato intervento, l’ignoto giurista rimanda la valutazione al ponteice: «quid ieri debet de parte oitialium, cum ipsi constituti non reperiuntur. secundum tenorem constitutioni<s> domini pape dicendum videtur quod potestas per quem talis institutio et assignatio ieri debet, eam retinere debet quou<s>que super hoc summus pontifex consulatur, quia suam constitutionem solus interpretari potest, ut c., de l. et concon. l. I (c. 1.14(17).1) et f. (c. 1.14(17).12)» (consilium n. 17). 46 Habet vestre devotionis (3.X.1290, potthast 23421). 47 Ex eo quod (2.III.1304, potthast 25381; extravag. communes, 5.3.1, ed. Friedberg, II, coll. 1290-1291). 48 anche nel saggio di Benziger (Dezentralisierung, p. 91 n. 89) le due tipologie sono tenute opportunamente distinte. 49 si tratta nello speciico delle decretali alessandrine Ex parte (vI. 5.2.3), super eo quod (vI.5.2.4), consuluit nos (vI.5.2.5), Quesivistis an alicui (vI.5.2.6), consultationi vestre (vI.5.2.7) e Quod super nonnullis (vI.5.2.8). l’unica lettera/consilium di alessandro Iv non compresa nel sextus è dunque la Felicis recordationis (per cui cfr. supra, nota 44), esclusa in quanto chiariicatrice circa alcuni dubbi introduzione XXIII la volontà da parte del papato di mantenere comunque, coerentemente con il crescente centralismo pontiicio nell’amministrazione della giustizia, un ruolo di coordinamento – quanto meno a livello normativo – del negotium idei ormai istituzionalizzatosi, si tradusse, più che nella nomina di uno o più supposti “inquisitori generali”, nel ripetuto ricorso nei decenni successivi (documentato soprattutto per gli anni ottanta del duecento) ai sapientes attivi in qualità di advocati presso lo studium curiae di recente costituzione, ad ecclesiastici curiali esperti di diritto, gli auditores causarum, e a cardinali con alle spalle una solida formazione giuridica. Il fenomeno sembra tuttavia riguardare, allo stato attuale della documentazione, le sole province inquisitoriali interne allo stato pontiicio e in particolare quella di romagna50. ritengo non si trattasse soltanto di una volontà di controllo tesa a contrastare le efettive spinte “autonomistiche” degli ordini mendicanti nella gestione dell’oicium51, quanto di un tentativo di supplire attraverso il ricorso ai dotti canonisti dello studium della curia romana all’assenza in quel territorio di importanti centri di insegnamento del diritto. nell’Italia settentrionale, infatti, sia per gli inquisitori domenicani di “lombardia” che per i minori attivi nel veneto era normale riferirsi ai sapientes di prestigiose università, quali Bologna e padova, come testimoniano numerose consultazioni sollecitate ai docenti più insigni – in prevalenza laici – legati appunto agli studia più famosi52. del resto, come giustamente osservato da mario concernenti l’ad extirpanda, e, in quanto tale, valida per la sola realtà italiana; a riprova, comunque, dell’importanza della bolla, il ponteice ne stabilì l’inserzione negli statuti comunali: per una concreta applicazione, testimoniata dagli statuti di alessandria, cfr. scharff, Häretikerverfolgung, pp. 178 n. 625, 195. anche la bolla cum in constitutionibus di Innocenzo Iv (29.vII.1254, potthast 15474), pur non successivamente inserita in alcuna compilazione uiciale, venne riproposta a più di trent’anni di distanza da niccolò Iv agli inquisitori della linguadoca (23.XII.1288, potthast 22843; edizione recente in Bronzino, Documenti (1980), p. 56 n. 23). Il dubbio, originariamente sollecitato dagli inquisitori di lombardia, riguardava la distruzione delle proprietà immobili degli eretici – in particolare delle torri – prevista dall’ad extirpanda. non sorprende perché ovvia, ma è una speciicazione indice di una consapevolezza assai signiicativa ai ini della nostra analisi, come al termine del De hereticis del sextus di Bonifacio vIII la tipologia di lettera/consilium venga posta sullo stesso piano delle constitutiones vere e proprie: «constitutiones vero, ordinationes et mandata alia praedecessorum nostrorum, in negotio haereticae pravitatis facta, concessa seu etiam ad consulta responsa [c.n.], quae constitutionibus supra scriptis, super eadem editis pravitate, non obvient, in suo volumus robore permanere» (vI. 5.2.20 c.f.; Friedberg, II, col. 1078). 50 parmeggiani, inquisizione, pp. 143-144. È inoltre interessante notare come il canale di trasmissione dei consulti nelle province interne allo stato pontiicio sembri ordinariamente prevedere tra i gestori del negotium idei e la curia la igura intermediaria del procuratore dell’ordine (ibidem, p. 141). 51 circa le quali si rinvia a paolini, Papato. 52 considerato il difondersi di questa prassi, non stupirà dunque constatare l’interesse di alcuni giuristi verso testi controversistici, come testimonia – ad esempio – la dotazione della biblioteca di Giovanni calderini: tra i numerosi codici igurano infatti un trattato anticataro non espressamente attribuito (contra manicheos sive paterenos, titolo ipoteticamente riconducibile a diversi autori, da ugo eiteriano a durando d’osca e a – lo pseudo? – pietro da verona) e opere antiereticali tanto di matrice XXIv introduzione ascheri, «se il consilium si era sviluppato con il diritto universitario e la difusione del giurista professionale a partire dal duecento soprattutto, si rileverà come ovvio che la consulenza pervenuta dovesse essere in gran parte legata ai centri universitari oppure alle città ad essi vicine che comunque alimentarono un ceto cospicuo di “dottori”»53. In realtà, reputo non suiciente la sola precedente motivazione, per cui cardinali esperti di diritto e advocati attivi presso lo studium curiae avrebbero semplicemente costituito un’alternativa referenziale in assenza di altri studia all’interno dello stato papale (del resto, nel 1308 venne istituita l’università di perugia, presto celebre per i giuristi che vi insegnarono): inluirono altri motivi. allo stato attuale della documentazione questa diformità nelle modalità di richiesta di consulti tra le province inquisitoriali comprese nel dominio temporale pontiicio e quelle esterne – le une aventi la curia come referente, le altre gli studia – può concorrere a spiegare, almeno a partire dalla comparsa della igura del cosiddetto inquisitor generalis Giovanni Gaetano orsini e con l’aievolirsi dei responsi papali (privilegia e decretali) in tema di procedura, l’assenza di una legittimazione uiciale da parte pontiicia nei confronti della prassi consultiva. potenzialmente, infatti, il consilium «dato al giudice nell’età del diritto comune» si poteva tradurre in «un poderoso strumento di decentramento nell’amministrazione della giustizia»54, in aperto contrasto con la progressiva evoluzione “centralistica” ed universalistica del papato duecentesco55. e non sarà forse un caso se nelle province sottoposte ad una più diretta inluenza dell’autorità papale e curiale – dove i rapporti tra il centro (papato) e la periferia (inquisitori) furono quanto mai intensi e vischiosi – apparentemente non avvennero gli abusi (poi rivelati dalle inchieste pontiicie di inizio Trecento) che si erano veriicati in veneto, “lombardia” e Toscana. la predominante autoreferenzialità nell’esercizio dell’oicium – spesso favorita da consilia compiacenti – e l’assenza di un accentuato intervento pontiicio furono assai probabilmente determinati in quelle teologica (alano di lilla) quanto giuridica (Tractatus de hereticis “propter Templarios” di Guido da Baiso: cfr. cochetti, la biblioteca, pp. 991 n. 125 [v; ma cfr. anche I]); 993 nn. 140 [v], 141 [I]; 1002 n. 218. 53 ascheri, i «consilia» [2003], p. 321. 54 Id., le fonti, p. 19. 55 Il papato duecentesco espresse con risolutezza la propria avversione nei confronti di una tipologia particolare di consilium sapientis, detto iudiciale, vincolante per il giudice e decisivo per la sentenza (ibidem, pp. 22-32). della “pericolosità” dell’istituto era ben consapevole un rainato giurista quale Guillaume durand, auditor generalis di clemente Iv: nello speculum iudiciale al titolo de requisitione consilii egli afermò che in virtù dei consilia «multa enormia possunt per […] iudices committi» (traggo la citazione dal medesimo saggio alla p. 25). Benché il durand si riferisse appunto al consilium sapientis iudiciale, il discorso relativo agli enormia vale forse a maggior ragione quando la consulenza è tesa, come in molti casi nelle consultazioni procedurali per l’Inquisizione di ambito non curiale, a snaturare il signiicato e la portata di disposizioni pontiicie. introduzione XXv province dalla mancata partecipazione della camera apostolica – se non in forma episodica – alla divisione dei proventi, come invece avveniva con apparente regolarità – pur con modalità diformi – all’interno del Patrimonium beati Petri56. del resto la situazione è ben fotografata dall’autorevole consilium emesso dal cardinale conte casati tra il 1281 e il 1287, per cui, a proposito della successione testamentaria di un “credente” di eretici, viene chiarita sulla scorta della Vergentis di Innocenzo III l’esatta deinizione di isco: «dicimus quod […] credens non potuit succedere alicui a tempore comissi criminis, etiam ante sententiam latam […] et huiusmodi hereditas debet applicari isco […] Tamen caveatis hic quod in hoc casu debeat iscus censeri. nam si ille qui decessit cui debuit succedere credens est subiectus temporali iurisdictioni ecclesie romane, ecclesia romana debet censeri iscus. si autem est subiectus Imperio, Imperium censebitur iscus»57. a partire dalla seconda metà del XIII sec. i giuristi di professione garantiscono al consilium procedurale la forma più ortodossa e più comunemente nota agli storici del diritto, corredata, cioè, da continui e abbondanti rimandi giustiicativi sia alle compilazioni giustinianee che a quelle di diritto canonico. l’elenco dei giuristi, prevalentemente attivi presso lo studium felsineo58, interpellati in materia procedurale dai gestori dell’oicium è lungo e comprende, partendo dalle punte d’eccellenza, celebri giuristi quali Francesco d’accursio (i cui consilia inquisitoriali erano ino ad oggi pressoché sconosciuti)59, dino del mugello, Giovanni d’andrea, per poi continuare con una pleiade di docenti meno noti, comunque di alto livello (Iacopo Bonacosa, marsilio manteghelli – maestro del d’andrea –, lambertino ramponi, paolo cospi, pietro cerniti, soltanto per citarne alcuni). I pareri procedurali vengono tuttavia richiesti anche a dottori legati a studia diversi da quello bolognese. È il caso, come detto, di padova (come testimonia il noto consilium relativo agli ebrei ferraresi richiesto nel 1281 dall’inquisitore Florio da vicenza e il consulto emesso nel 1297 dal canonista Bovatino Bovetini)60 o di città dove nuove università stavano nascendo su tutta la questione, cfr. parmeggiani, inquisizione, pp. 146-150. nell’Italia settentrionale il controllo centrale sembra, se non assente, del tutto sporadico: cfr. ad es., per quanto riguarda l’inquisitore lanfranco da Bergamo, i cui conti sono esaminati solo due volte in un arco di tredici anni, le considerazioni di marina Benedetti (Frate lanfranco, p. 166; le inanze, pp. 374-376, 380-381). 57 cfr. consilium n. 33 del repertorio. 58 sul rapporto tra i consilia sapientum inquisitoriali e lo studio bolognese si leggano le eicaci pagine di lorenzo paolini (l’eresia catara, pp. 18-29): benché sia relativa a consultazioni processuali, la trattazione si attaglia perfettamente anche ai consulti relativi alla procedura. 59 cfr. consilia nn. 21-22 del presente repertorio. 60 cfr. infra, consilia nn. 30, 41. oltre ai casi citati, si veda l’importante consilium processuale 56 XXvI introduzione o erano appena sorte, come ad esempio siena61. I professores, specie se famosi come spesso nei consilia è sottolineato con forza, vengono ricercati perché investono la consultazione di un’auctoritas e di una legittimità indiscutibile: con la ine del duecento il ricorso a questo tipo di consulto è dominante ino a diventare pressoché esclusivo. l’uso, che si andava afermando anche oltralpe, è del resto codiicato anche nella Practica di Bernard Gui, dove – accanto ad una generica «forma ad convocandum peritos ad consilium pro agentibus in remotis» – si trova «forma alia ad convocandum peritos presentes specialiter in aliquo studio generali»62. evidentemente la prassi aveva smentito l’ammonimento del capitolo provinciale dei domenicani tenutosi a venezia nel 1287 in cui venne implicitamente proibito il ricorso alla consultazione di laici da parte degli inquisitori, in quanto membri dell’ordine, dal momento che «ordo [predicatorum] per gratiam dei habet copiam sapientum per quos possunt questiones que emergunt suicienter determinari»63. a quest’altezza cronologica più che nella reale e documentata “ignoranza” in ambito giuridico dei gestori dell’oicium – iuris ignarus si autodeiniva l’anonimo neoinquisitore autore del De auctoritate, ma in buona compagnia: «inquisitores, ut plurimum, sunt iuris ignari» sottolinea zanchino ugolini64 – la motivazione del ricorso al consilium di giuristi di professione è da individuarsi in una semplice domanda di assenso e avallo procedurale. È proprio in questi casi di consilia dotti che gli inquisitori formulano i quesiti, forse – meglio – le richieste più ardite e maliziose che i pareri giuridici di norma sanciscono. per certi aspetti il consilium procedurale diventa paradossalmente in questi casi aine al consilium pro parte (sollecitato, cioè, unicamente da una delle parti nel suo speciico interesse), così come lo sono certi consulti processuali dove l’altera pars è costituita dai sospetti eretici, pars, in base al diritto inquisitoriale, priva di normali garanzie giuridiche – quelle minime, data l’efrazione dell’ordo richiesto nel 1305 ad una commissione di giuristi padovani edito da paolo marangon (Gli «studia», pp. 101-102). 61 cfr. consilium n. 50 del presente repertorio. 62 Bernardus Guidonis, Practica, p. 26 docc. 31, 32. 63 desumo la citazione da Benedetti, le parole, p. 131. 64 ed. campeggi, p. 116. anche l’ex inquisitore lorenzo d’ancona attivo nelle marche, per discolparsi di irregolarità procedurali che gli erano state addebitate in un procedimento a suo carico istruito negli anni Trenta del XIv sec., si autodeinì iperbolicamente iuris imperitissimus (Iocco, il caso, p. 55 r. 341, poi ribadito in forma più attenuata – iuris ignarus – a p. 65). partendo da questo caso mario conetti pone in rilievo «la scarsa preparazione giuridica degli inquisitori, che investe addirittura testi speciicamente rivolti alla pratica» (note processualistiche, p. 320). la citazione dal Tractatus di zanchino è desunta dall’incipit del capitolo dell’opera espressamente dedicato «collationibus et consiliis habendis per inquisitores in sententia, et processu», apparentemente – dunque – limitato alla sede processuale, benché poco oltre l’autore afermi in forma più generica, con probabile allusione anche ai temi procedurali, come gli inquisitori «debent circa occurrentia [c.n.] et processus convocare consilia peritorum iure». introduzione XXvII iuris, erano rappresentate proprio dal ricorso al parere dei giurisperiti65 – oltre che di avvocati66. le consultazioni inquisitoriali vanno dunque studiate tenendo sempre presente l’anomalia propria del negotium idei per cui ad emettere le sentenze sono gli stessi giudici che hanno condotto l’inchiesta: di conseguenza il consilium pro parte eventualmente richiesto dai titolari dell’oicium acquista una valenza ben diversa, deviando verso il consilium sapientis iudiciale, il cui responso è vincolante per il giudice67. credo non sia una forzatura spingere questo ragionamento alle estreme conseguenze, almeno per quanto riguarda l’interpretazione della normativa: il consulto procedurale, se favorevole all’inquisitore, era inderogabilmente osservato. diversamente, qualora, cioè, il responso non fosse stato quello atteso, ci si poteva rivolgere ad un altro sapiens nella speranza di ricevere un parere consono alle richieste. ne darebbe testimonianza una consultazione emessa dal dottore di decreti raniero da reggio con tutta probabilità su domanda dell’inquisitore Florio da vicenza. lo stesso Florio si era rivolto nel 1290 a due giuristi famosi quali dino del mugello e marsilio manteghelli per ottenere un consilium per ini squisitamente pratici relativamente al contenuto della bolla ad extirpanda. nella tradizione manoscritta il testo di questo consulto è costantemente seguito dal citato consilium di raniero in cui i quesiti sottoposti a valutazione coincidono alla lettera con quelli rivolti ai due docenti bolognesi68. le risposte sono tuttavia divergenti su alcune quaestiones 65 cfr. paolini, introduzione, in asoB, pp. Xv-XvI. ciò valeva almeno per le occasioni in cui l’inquisitore ricorreva al consilium sapientis come forma di sincera cautela rispetto al proprio operato, come sembrano denotare alcune sentenze in cui la scarna formula communicato consilio sapientum è sostituita da espressioni più signiicative: è il caso, ad esempio della condanna al carcere a vita e alla conisca dei beni di un eretico aretino da parte dell’inquisitore francescano di Toscana angelo da arezzo (1295), cui si procede «habito […] consilio sapientum virorum in utroque iure doctorum, probatorum et religiosorum in divina pagina peritorum (non enim ad sententiam talis processus procedere voluimus nisi primum sufulti grandi consilio et maturo)» (mariano d’alatri, nuove notizie, p. 267). Guido da Baiso nel commento al c. Ut commissi del titulus De hereticis contenuto nel sextus richiama – con evidente allusione alla sede processuale – il ruolo necessario del consilium sapientis, quale forma di cautela: «cum in negotio heresis sit cum magna cautela procedendum […], ad talem cautelam sunt peritorum consilia requirenda» (super sexto decretalium, f. 110rb). 66 Tale principio connesso al processo sommario fu formalizzato dalla decretale statuta di Bonifacio vIII inserita nel sextus (vI. 5.2.20). 67 cfr. ad esempio la sentenza pronunciata dall’inquisitore di Toscana Grimaldo da prato il 25.vIII.1313: «habito consilio […] quamplurimum peritorum iuris canonici et civilis clericorum et religiosorum virorum, et aliis habitis consiliis opportunis et ipsorum consilium sequendo» (Tocco, Quel che non c’è, p. 75). In un consilium processuale richiesto il 14.vIII.1290 dall’inquisitore Florio da vicenza a dino del mugello e marsilio manteghelli, sono gli stessi giuristi a dettare letteralmente la sentenza al giudice della fede (cfr. parmeggiani, l’inquisitore, p. 690 n. 38). 68 cfr. consilia nn. 38, 39. non si tratta tuttavia dell’unico caso di consilia su dubbi speculari, attestati anche nel ms. F1 (consilia nn. 16-18). la presenza di questi due esempi induce a ritenere che fosse una prassi non inconsueta da parte degli inquisitori di rivolgersi contemporaneamente a più giuristi per la soluzione dei dubbi emergenti dall’azione repressiva, forse con intento confermativo rispetto alle XXvIII introduzione di importanza rilevante, quale ad esempio la cognitio e la restituzione delle usure: il giurista reggiano legittima senza riserva lo strapotere dell’inquisitore, laddove dino e marsilio avevano riservato al vescovo facoltà di intervenire in materia. È quasi inutile dirlo: la linea vincente, e la prassi lo confermò, dovette essere quella indicata da raniero69. del resto, come sintetizza bene ascheri, «bisogna rassegnarsi a ritenere che siano stati trasmessi con maggior cura e frequenza i pareri più “faziosi”, più evidentemente favorevoli al cliente che pagava»70. Il discorso è senz’altro valido per i consilia inquisitoriali, che consentivano di piegare a vantaggio degli inquisitori le direttive pontiicie anche nel caso di contrasti con l’autorità laica, divenendo dunque potenzialmente “armi politiche”, come sembra suggerire l’esempio del ricorso alla pratica da parte di entrambi i contendenti nel braccio di ferro che vedeva opposti ad inizio Trecento il doge di venezia e i titolari dell’oicium locale71. un simile utilizzo, in forma decisamente esasperata, è ancor più evidente nell’ondata di processi per eresia contro i contestatori interni ed esterni dell’autorità papale che caratterizzò i primi pontiicati avignonesi – nel caso dell’inchiesta contro i Templari con un’evidentissima impronta di matrice laica, testimoniata anche da un consilium richiesto nel 1308 dallo stesso Filippo il Bello ai maestri di teologia dello studium parigino72 – ed in particolare quello di Giovanni XXII, quando il papa stesso si fece promotore di richieste procedurali improntate all’ampliamento della nozione di eresia e delle categorie di devianti73. risposte ottenute, oppure per sfruttare a proprio vantaggio le diformi valutazioni dei consiliatores. 69 nel 1316, ad esempio, l’inquisitore corrado da camerino procedette alla restituzione di parte delle somme provenienti da un’indagine condotta nei confronti di un usuraio di Ferrara (la stessa città in cui Florio richiese il consilium a dino e marsilio e, per congettura, a raniero): cfr. Biscaro, inquisitori ed eretici lombardi, p. 490. 70 ascheri, i «consilia» [2003], p. 317. 71 Ilarino da milano, l’istituzione, p. 481 e n. 111 (documento del 30.XI.1301). per un uso similare del consilium a proposito della pertinenza dei beni di un eretico contesi tra venezia e verona, cfr. ibidem, pp. 455-456 nota 32. 72 la consultazione è edita in denifle - chatelain, chartularium, II, pp. 125-128 n. 664: i quesiti sottoposti a valutazione riguardano tanto l’accusa di eterodossia mossa all’ordine, quanto la competenza procedurale dell’autorità laica, non solo nella cattura degli eretici, ma anche nella fase istruttoria e giudicante – «utrum princeps secularis possit hereticos capere, examinare vel punire» –, possibilità respinta dai magistri «nisi ecclesia requirente». sul processo ai Templari, tornante storico di decisiva importanza per la costituzione delle basi dell’assolutismo reale francese, rimandiamo da ultimo a Théry, Philippe le Bel. 73 Il ruolo decisivo dei consilia in questa temperie storica è stato recentemente richiamato da chiffoleau, le procès, p. 331. rimandando poco più oltre l’esempliicazione relativa ad uno dei processi contro i principali esponenti del ghibellinismo italiano (nello speciico, gli estensi), intendiamo qui richiamare in particolare le consultazioni richieste da Giovanni XXII nel 1320 e nel 1322, per lo più opera di teologi, dedicate all’individuazione di nuove forme di devianza rispettivamente in pratiche magiche e introduzione XXIX che la consulenza, specie se richiesta ad afermati giuristi, fosse lautamente remunerata – sia in denaro che sotto altre forme (doni, pranzi, ecc.) – è ben documentato dai libri rationum di alcuni inquisitori “lombardi” e toscani74: in alcuni casi, relativi forse a consulti processuali, erano addirittura gli stessi frati ad essere retribuiti in aperto contrasto con le costituzioni dei rispettivi ordini, con le disposizioni papali e i precetti della manualistica (dove tuttavia il principio risulta non senza ipocrisia facilmente eludibile)75. demonologiche, e – con inalità e ricadute ecclesiologiche di ben maggior peso – nell’afermazione che cristo e gli apostoli non avessero posseduto alcun bene (le cui scaturigini sono da individuare in un noto procedimento del 1321 dell’inquisitore Jean de Beaune contro un beghino di narbonne). circa l’edizione e lo studio dei dieci consilia relativi al primo caso, cui partecipò anche il futuro ponteice Jacques Fournier, il rimando va ai lavori di alain Boureau (le pape; satana eretico); circa i ben più numerosi responsi inerenti alla questione della povertà evangelica, in massima parte ancora inediti, che precedettero l’emanazione della decretale cum inter nonnullos, rinviamo al fondamentale saggio di louis duval-arnould, les conseils. In generale, sul ricorso alla pratica consultiva da parte di Giovanni XXII per la soluzione di quesiti concernenti aspetti di carattere dottrinale, cfr. riepilogativamente Bartoli langeli, il manifesto, p. 209 e nota 21, così come, per i più noti processi contro teologi, che richiesero l’intervento di commissioni composte da colleghi degli accusati, miethke, Eresia dotta, e – per un didascalico richiamo dei procedimenti più celebri – Id. Der Echkartprozess, p. 123. simili consilia risultano esclusi dal nostro repertorio per ragioni tipologiche, in quanto non presenti in miscellanee inquisitoriali e in quanto pareri giuridici richiesti direttamente dall’autorità pontiicia o da questa sollecitati, e non provenienti dai giudici della fede, benché poi da essi fruiti nella repressione delle forme di dissenso religioso indicate. nel contesto storico precedentemente richiamato si inserisce un altro consilium, anch’esso non incluso in alcun manuale o miscellanea inquisitoriale: si tratta del parere – pur richiesto in questo caso da un inquisitore, michel le moine, tuttavia relativamente ad un’azione sollecitata direttamente dall’autorità papale – pronunciato nel 1318 da una commissione composta principalmente da teologi a proposito del sospetto di eterodossia di alcune tesi sostenute da un gruppo di spirituali della linguadoca. per un inquadramento della consultazione – edita in Baluze - mansi, Miscellanea, II, pp. 270-271 e ripubblicata in denifle - chatelain, chartularium, II, pp. 215-218 n. 760 – nell’ambito complessivo del procedimento, cfr. manselli, spirituali, pp. 150-156. 74 celebri giuristi igurano più volte consultati anche in sede processuale: oltre al caso di Bologna studiato da paolini (l’eresia catara, pp. 23, 27), in Italia settentrionale risultano remunerati per le loro prestazioni professionali riccardo malombra, Iacopo Bottrigari e rolandino Belvisi (Biscaro, inquisitori ed eretici lombardi, pp. 491, 494). In aggiunta ai compensi (spesso non esigui), i giuristi ricevevano con prodigalità doni (soprattutto di natura alimentare: pranzi, vino, frutta, formaggio ecc.) da parte dei titolari dell’oicium (cfr., ad es., Id., inquisitori ed eretici a Firenze [1929], pp. 355, 357358, 368; Benedetti, inquisitori lombardi, p. 123). 75 Biscaro, inquisitori ed eretici lombardi, pp. 512, 535-536, 538, 540-541, 548; Id., inquisitori ed eretici a Firenze (1929), p. 357; (1930), p. 275; (1933), pp. 194-199; parmeggiani, studium, p. 135. attorno al 1330 zanchino ugolini nel Tractatus de haereticis aferma in maniera perentoria: «et dic quod isti [sapientes] exhibebunt suum consilium gratis, nihil petendo», salvo delegare immediatamente di seguito l’eventuale facoltà di retribuire i consultori – con esiti chiaramente intuibili – all’arbitrio dell’inquisitore: «sed si Inquisitor ex sua provida discretione faciat eis solvi; recte possunt salarium recipere gratis oblatum eisdem» (ed. campeggi, pp. 116-117). In precedenza, ma con esiti simili, un celebre consultore al servizio dell’oicium quale Guido da Baiso aveva respinto la possibilità che la collaborazione prestata dai consultori potesse non essere pagata, benché – trattandosi di difesa della fede e, dunque, di un’azione irrinunciabile – la remunerazione non dovesse intendersi richiesta, bensì oferta: XXX introduzione Il ricorso ai giuristi di professione sul inire del XIII sec. da sporadico si fece sistematico: l’istituzionalizzazione del negotium idei comportò, tra l’altro, la formazione presso i principali centri dell’attività inquisitoriale di vere e proprie commissioni isse di consiliatores. queste erano generalmente composte dall’ordinario diocesano (o, più spesso, dal suo vicario), da ecclesiastici (in prevalenza frati) e da giurisperiti di professione laureati in utroque, come testimonia anche il De auctoritate: «debent isti sapientes iuris utriusque esse periti, cum viris religiosis predicatoribus et minoribus, et tot quot [quod ms.] ipsi inquisitores pro diicultate ipsius negotii iudicaverint expedire»76 e, in forma più generica – superando la distinzione operata da Guido da Baiso e ribadita da Giovanni d’andrea tra i prudentes e i periti, che conduceva all’esclusione dei litterati, restringendo il novero dei consultori ai soli giuristi e teologi77 –, zanchino ugolini: «est statutum a iure quod [inquisitores] advocent ad se peritos in iure, et alios religiosos, et literatos, ac peritos in sacra pagina»78. («prebeat [consilium]. nunquid gratis. videtur quod non. quia nemo de suo cogitur facere benefactum X. q. II. precarie. Item quia est dignum recipere emolumentum eum qui prestitit obsequium. XII. q. II. charitatem. preterea nemo cogitur suis stipen. militare. supra de pres. cum ex oic. et hoc plane videtur dicere aug. XI. q. III. non licet. ubi de hoc. et. XIIII. q. v. c. vl. in prin. set contra quia hic agitur de iustitia et veritate idei quam quilibet defendere tenetur alias est proditor ipsius veritatis. XI. q. III. nolite ti. eos. et ubi quis tenetur ad aliquid suis sumptibus id habet exequi […] credo quod licite potest recipere si eis daretur aliquid ab inquisitore vel alio iudice ar. eius quod le. et no. I. q. III. vendentes. et sic intelligo prima iura. sed non debet petere. et sic intelligo contra in hoc casu. in aliis secus» (super sexto decretalium, f. 110rb). Giovanni d’andrea nel commento allo stesso canone segue la linea del suo maestro, riconoscendolo esplicitamente (novella in sextum, f. 253[a]). di seguito – sempre con il consueto successivo parallelo dell’allievo (ibidem) – l’arcidiacono indica i principi ispiratori del codice deontologico del consultore: «Iurisconsultus debet esse in consilio cautus. in patrocinio idelis. in iudicio iustus. ut olim habitum est in prima compilatione. in prin. et quod dictum est consilio cautus. dic cum debet consulere. quia si fraudem adhibet tenetur de dolo. f. de reg. iur. consili. alias regulare est quod nemo tenetur ex consilio. f. de re. iu. l. II in i.» (super sexto decretalium, f. 110rb-va). 76 vl1, c. 59 ra. 77 per entrambi l’auctoritas di riferimento è costituita dalle Derivationes di uguccione da pisa. così si esprime l’arcidiacono glossando il c. Ut commissi del titulus De hereticis del sextus: «diferentia est inter peritos et prudentes. ut patet .XI. q. III. nemo peri. unde dic. quod respicit literatos. et dicit Hu. in derivatione quod peritus idem est quod doctus instructus nec credo hoc intelligendum de quolibet perito literato. set de theologo vel canonista vel legista. nam cum hic agatur de crimine puniendo vel absolvendo quod crimen est mere ecclesiasticum. infra. eo. ut inquisitionis .§. prohibemus debet per can. cognosci et decidi» (super sexto decretalium, f. 110rb, dove seguono altre allegazioni giuridiche a sostegno della tesi esposta). la stessa posizione è assunta quasi ad unguem, con esplicito riferimento proprio all’arcidiacono, dal suo allievo (novella in sextum, f. 253[a]). 78 ed. campeggi, p. 116. la citazione è desunta dal capitolo dell’opera dedicato ai consilia, probabilmente non solo processuali, ma anche procedurali (cfr. supra, nota 64). le consultazioni, principal- introduzione XXXI commissioni di questo tipo, il cui organico subiva minime variazioni, sono attestate tra ine duecento e inizio Trecento in diverse città italiane: a piacenza a partire dal 1276, a verona dal 1287, ad arezzo nel 1295, a Bologna dal 1299, a milano nel 1300, a padova nel 1305, a Ferrara nel 1316, a modena nel 1317, a Firenze dal 1319, a Trento nel 133379. solitamente il loro intervento si limitava mente – al solito – in sede processuale, saranno oggetto di attenzione speciica anche dalla manualistica successiva, come dimostrano alcune speciiche trattazioni presenti nella terza parte del Directorium di eymerich: cfr. infatti le quaestiones «de peritis et advocatis necessariis pro oicio Inquisitionis» (qq. 77-83: ed. peña, f. 681[a]-685[b] ed in particolare nn. 77 [«an inquisitor possit convocare peritos ad praebendum consilium», f. 681-682; tuttavia quasi integralmente opera del curatore], 78 [«an de consilio peritorum ferenda sit ab episcopo et inquisitore sententia»: pp. 682-683]). 79 È diicile, sulla scorta della frammentaria documentazione superstite, esprimere un giudizio certo e issare con sicurezza degli estremi cronologici, ma sembra indubbio che presso le principali sedi del tribunale inquisitoriale si formarono, in concomitanza con l’istituzionalizzazione dell’oicium, delle commissioni stabili di consiliatores: in alcuni casi, come per Ferrara e modena, alcune annotazioni di spesa degli inquisitori sono riferite a sapientes cui segue un meno generico genitivo di appartenenza (sapientibus oicii [Mutine, de Ferraria ecc.] ). Gli esempi più antichi in cui tale presenza è veriicabile in base ad un corpus documentario suicientemente ampio per riscontri diacronici, sono rappresentati appunto da piacenza (cfr. infra, nota 81), verona (cfr. mariano d’alatri, Una sentenza, pp. 221-222 e lomastro Tognato, l’eresia, pp. 118-121, nonché, per esempi in anni immediatamente successivi al 1287, cipolla, Patarenismo, pp. 267-268, 271, 275, 279, 281), arezzo (benché con formulazione generica: cfr. supra, nota 65) Bologna (1291-1309; asoB, II, pp. 596-625, docc. nn. 804-869; paolini, l’eresia catara, pp. 18-29; parmeggiani, studium, pp. 129, 135), a Ferrara (Biscaro, inquisitori ed eretici lombardi, pp. 538-539; ma cfr. anche infra, nota 82), a modena (ibidem, p. 539), a Firenze negli anni 1319-1334 (cfr. infra, nota 82 e Biscaro, inquisitori ed eretici a Firenze [1929], pp. 357358, 368-369; [1930], pp. 270-271, 275; [1933], p. 163). per altre città la documentazione è più sporadica, ma omogenea per l’esempliicazione della tipologia compositiva del collegio di sapientes: cfr. per milano, il consilium relativo al processo contro i devoti di Guglielma (Benedetti, Milano 1300, pp. 202, 204, su cui cfr., nello stesso volume, anche merlo, inquisitori a Milano, pp. 26-27), per padova – per cui comunque cfr. anche infra, nota 82 – il responso del 1305 sulla tripartizione dei proventi della condanna di ezzelino da este (marangon, Gli «studia», pp. 101-102), per Trento il consulto processuale del 1333 per la punizione di un sacerdote (marangon, il pensiero, p. 47), per la diocesi di Torino – benché in forma più criptica per l’omissione dei nominativi dei consultori – la testimonianza indiretta di un consilium sui processi tenuti a Giaveno dall’inquisitore alberto de castellario nel 1335 (merlo, Eretici, p. 251 n. 228). È interessante notare come a Bologna negli stessi anni precedentemente considerati (1283-1284) una commissione del tutto aine, composta da minori, predicatori e doctores sia di diritto canonico che civile, intervenne anche politicamente nella vita cittadina, schierandosi contro gli aspetti più radicali della legislazione antimagnatizia (menzinger, Giuristi, pp. 283-284). In area francese, stando alle fonti indicate qui alla nota successiva e risalenti agli anni venti del XIv sec., la prassi in ambito processuale sembra prevedere una più numerosa e composita partecipazione di consultori, soprattutto per quel che riguarda le appartenenze al clero sia regolare che secolare, rispetto a quanto accade in Italia: ne è inoltre testimone il consilium processuale richiesto il 7.vIII.1318 dal vescovo di pamiers, e futuro ponteice Benedetto XII, Jacques Fournier, in cui i sapientes interpellati risultano quasi una trentina (cfr. duvernoy, le registre, II, pp. 101-102). la componente laica delle commissioni italiane, almeno per quel che riguarda i centri di maggiore rilevanza, non di rado registra la presenza, spesso congiunta, di giuristi al contempo implicati nella vita politica del comune. Il caso di Bologna è in tal senso emblematico: diversi consiliatores al servizio dell’Inquisizione (Francesco d’accursio, marsilio manteghelli e lambertino ramponi) furono richiesti dai vertici cittadini di pareri consultivi con importanti ricadute sul piano sia della politica interna che “estera”: per i casi richiamati rimandiamo a menzinger, Giuristi, pp. 225-329, così come ad ead., Forme di implicazione, per una più sintetica e allargata panoramica. XXXII introduzione all’emissione di consulti processuali, poi raccolti in appositi libri consiliorum conservati presso gli oicia locali80; ma che occasionalmente questi gruppi di sapientes potessero essere richiesti di consilia procedurali lo fanno ritenere la silloge di sei pareri giuridici richiesti a piacenza tra il 1276 e il 1277 dall’inquisitore niccolò da cremona (in un caso unitamente al collega daniele da Giussano) ad un collegio di sapienti prevalentemente in materia inanziaria81 e due consilia redatti dai consultori dell’oicium iorentino tra gli anni dieci e venti del Trecento82. proprio le questioni procedurali connesse ad aspetti di natura economica rappresentano l’oggetto privilegiato – sia pur non esclusivo – delle consultazioni inquisitoriali, soprattutto a partire dagli anni settanta del XIII secolo: in pratica da quel momento in poi non vengono sollecitati pareri giuridici se non a proposito della gestione dei bona hereticorum – vero e proprio leit-motiv dei consilia – colta nelle diverse problematiche ad essa relative (tripartizione dei proventi, processo postumo e relative ripercussioni che si riverberavano sugli eredi). leggendo il contenuto delle consultazioni alla luce di quanto stabilito dalla normativa in materia, si può comprendere l’efettiva portata storica della fonte che lascia aiorare senza ipocrisia i a Firenze la conservazione dei consilia in appositi libri è ben documentata da un prezioso inventario dei beni dell’oicium redatto nel 1334 (mariano d’alatri, archivio, pp. 284-285 nn. 19, 26, su cui di recente si è sofermato merlo, Problemi documentari, ora anche in Id., inquisitori, pp. 125-138): per la redazione delle consultazioni i sapientes locali potevano avvalersi di una nutrita serie di codici giuridici già da tempo a disposizione dei consultori («iam sunt longa et longissima tempora»: mariano d’alatri, archivio, pp. 279-280 n. 4-6). anche i consilia processuali contenuti negli acta s. oicii Bononie venivano conservati in un registro a parte: occupano infatti un intero fascicolo, il diciottesimo (asoB, II, pp. 596-625, docc. nn. 804-869). analogamente, sullo scorcio del duecento l’inquisitore domenicano lanfranco da Bergamo predispone un libello in cui raccogliere, oltre a privilegia concernenti l’oicium, i consilia sapientum (Benedetti, inquisitori, p. 118; cfr. anche ead., i libri, p. 25). per l’area francese si possono invece ricordare i registri GGG e ddd dell’Inquisizione di carcassonne – sopravvissuti nella copia seicentesca degli attuali tomi, rispettivamente 27 e 28, del fondo doat della Bibliothèque nationale de France di parigi – contenenti, pur se in forma non esclusiva, consilia processuali degli anni venti del Trecento relativi all’oicium locale: per uno studio più recente di quello del douais si rimanda a leveleux-Teixeira, la pratique. l’edizione dattiloscritta di tali registri curata nel 2003 da Jean duvernoy, depositata presso il “centre d’études cathares de carcassone”, è consultabile al sito internet www.jeanduvernoy.free.fr. 81 cfr. consilia nn. 24-29 del repertorio. 82 cfr. consilia nn. 47, 52: i nomi dei consultori presenti nei due documenti – rispettivamente del 1319 e del 1328 ca. – sono in buona parte coincidenti. non abbiamo compreso nell’esempliicazione la serie di consulti sul tema degli ebrei (1281) opera di sapientes padovani, bolognesi e ferraresi (per cui cfr. consilia 30-32), in quanto disomogenea: nella commissione radunata a padova (n. 30) compaiono infatti solo giuristi di professione – sia civilisti che canonisti – e risultano assenti ecclesiastici, così come a Ferrara, viceversa (n. 32), igurano in aggiunta al vicario vescovile esclusivamente frati predicatori e minori. più vicina alla composizione proposta dal De auctoritate si dimostra il gruppo di sapientes bolognesi (n. 31), dove tuttavia mancano i civilisti (forse perché già il vicario del vescovo era qualiicato come doctor legum) e membri dell’ordine francescano. 80 introduzione XXXIII reali scopi degli inquisitori nell’amministrazione dell’oicium83. l’efettiva ed innegabile incidenza dei consilia sulla codiicazione della procedura è stata possibile grazie alla loro recezione all’interno dei manuali inquisitoriali, il vero veicolo dell’elaborazione normativa relativa al negotium idei: approfondiremo questo fenomeno nel capitolo conclusivo, veriicandone e valutandone la portata su alcuni speciici aspetti della procedura (testimonianze processuali, ingiunzione di pene pecuniarie, gestione dei bona hereticorum e ripartizione delle conische, processo postumo). l’inlusso della consultazione procedurale è poi veriicabile anche nella prassi in ambito processuale, ad esempio nel celebre processo per eresia promosso dal papato contro gli estensi nel 1321 ed edito dal Bock84. In quel procedimento vengono citate come auctoritates decisive per la sentenza alcuni passi dei consilia conciliari di Béziers e narbonne, ma soprattutto la consultazione cum nuper del cardinale pietro da collemezzo85, sulla cui valutazione tra i sapientes interpellati dall’inquisitore si registrò la polemica riprovazione del celebre Giovanni d’andrea: il noto canonista ne contestò l’autenticità e si riiutò sia di sottoscrivere il consulto che di apporvi il proprio sigillo. Il nodo del contendere riguardava la possibilità di condanna, teoricamente respinta, in base alla deposizione di testes singulares. Il comportamento del d’andrea fu stigmatizzato dagli inquisitori che non tennero in alcun conto le sue osservazioni critiche, sfruttando nell’interpretazione della cum nuper l’ermeneutica legittimata dai sapientes consultati in base all’inquisitorum arbitrium86. l’episodio, avvenuto in un processo di rilevanza certo non secondaria, conferma in maniera eicace la tendenza generalizzata da parte degli inquisitori di piegare le auctoritates e i consilia richiesti ai giuristi unicamente verso la forma più favorevole. del resto, gli spiragli d’interpretazione delle bolle pontiicie a partire dagli anni cinquanta e sessanta del duecento erano comunemente sfruttati nei consilia per giustiicare ciò Benché occorra tener presente i diversi assetti istituzionali e procedurali assunti dal negotium idei in Italia rispetto alla Francia, sembra dunque inequivocabile sulla base della documentazione superstite almeno per quanto riguarda la nostra penisola la risposta al giusto interrogativo proposto da laurent albaret e Isabelle lanoix-christen «si l’économie de l’Inquisition provoque la procédure aux XIIIe et XIve siècles ou si la procédure developpe une économie propre pour l’institution» (albaret lanoix-christen, le prix, p. 66). 84 Bock, Der Este-Prozess. per ulteriori emergenze documentarie, cfr. parent, Entre rébellion, p. 151 n. 20, saggio cui più ampiamente rimandiamo (così come ad altri contenuti nello stesso volume l’età dei processi) per un’opportuna contestualizzazione del processo agli estensi nella stagione delle inchieste papali per eresia nei confronti dei vertici del ghibellinismo italiano. 85 cfr. anche Bock, Der Este-Prozess, pp. 48-49. 86 ibidem, pp. 91-94; sulla vicenda cfr. anche, condorelli, Un giurista, pp. 258-259 e vallerani, Modelli, pp. 140-142. 83 XXXIv introduzione che spesso avveniva e che si andava lentamente legittimando per consuetudine87, portando dunque a ritenere sospetto il ricorso ai sapientes: non più – come detto – per reali chiarimenti, ma in senso meramente giustiicativo. da quel momento in poi il parere giuridico, spesso compiacente, acquisì una valenza ben diversa, denotando il ruolo attivo – benché indiretto – dei frati nella codiicazione e declinazione su base locale della procedura, di cui furono in sostanza i veri arteici, ottenendo soprattutto dai consilia l’assenso all’autonomia nella gestione dell’oicium. era ormai la prassi ad orientare i pareri legali e non più viceversa, come agli esordi. un esempio lampante di questa tendenza mi pare si possa cogliere in area “lombarda” tra gli anni sessanta e settanta del XIII sec. a proposito della punibilità dei relapsi. la spinta degli inquisitori verso una più elastica valutazione, tesa a superare l’inlessibile dogma del rogo nei confronti dei recidivi, nel caso in cui questi manifestassero volontà di conversione, è resa evidente da un documento del 1265 di carattere non pubblico, con il quale i giudici della fede dell’Italia settentrionale avanzarono – insieme ad altre – una richiesta in tal senso al ponteice clemente Iv, evidenziando, a sostegno della propria istanza, lo scarto esistente tra norma e prassi88. Il papato non accolse nemmeno in seguito un simile indirizzo, come dimostra l’inserzione della super eo quod di alessandro Iv nel sextus89. nonostante ciò, poco più di una decina d’anni dopo (1276), la richiesta non tradotta in pratica dal ponteice venne nuovamente avanzata da due inquisitori “lombardi”, ma questa volta – su base locale – a dei sapientes. Il responso ottenuto dai consultori piacentini, 87 se l’utilizzo della consuetudine come auctoritas poteva non sorprendere nei consilia della seconda metà del duecento, è singolare ritrovarla ancora al tempo di zanchino ugolini. nel solo Tractatus de haereticis, attento a riferire i vari aspetti della procedura unicamente alle compilazioni canonistiche e civilistiche, ho riscontrato ben nove menzioni di usi consolidatisi per consuetudine (che, tuttavia, l’avvocato riminese sembra spesso non approvare: cfr. ed. campeggi, pp. 55, 57, 96, 125, 153, 203, 220, 274, 278). 88 «Item [inquisitores hereticorum in lombardia] petunt de relapsis, si volunt converti, quod non relinquantur iudicio seculari, quia de hoc est magis scandalum in lombardia, et numquam fuit ibi aliquis relapsus, dummodo convertatur, huiusmodi iudicio relictus [c.n.]» (Fumi, l’inquisizione romana, p. 193). degli undici desiderata contenuti nel documento, più della metà riguardano aspetti di carattere procedurale e denotano in maniera lampante la consapevole progettualità gestionale del negotium idei da parte degli inquisitori. un’ulteriore spia di una predisposizione dei giudici della fede verso un atteggiamento meno intransigente nei confronti dei relapsi proviene anche da uno dei quesiti sottoposti in quegli stessi anni al cardinale Giovanni Gaetano orsini da Bentivegna da Todi e Guido, procuratore dei minori (cfr. consilium n. 18); il dubbio procedurale determina tuttavia una categorica risposta del cosiddetto “inquisitor generalis” («ad questionem qua pena sint puniendi relaxi, manifesta est decretalis super hoc»). 89 cfr. supra, note 44, 49. Il ponteice, come unica forma di temperanza dell’abbandono al braccio secolare «sine ulla penitus audientia», concesse ai relapsi soltanto la facoltà di ricevere il sacramento della penitenza e dell’eucaristia. la decretale/consilium in risposta ad un quesito degli inquisitori – probabilmente genuino, come dimostrerebbe il contrasto dagli stessi rilevato tra due disposizioni papali – evidenzia chiaramente come il tema fosse oggetto di reali dubbi. introduzione XXXv i quali introdussero una distinzione all’interno della categoria dei recidivi, limitava la validità della norma – con esclusivo riferimento alle leggi federiciane, e, dunque, ignorando la prescrizione alessandrina! – ai soli relapsi che si fossero pentiti all’ultimo istante; diversamente, delegava agli inquisitori le forme di punibilità di tale tipologia di inquisiti90. una volta di più si conferma la tendenza dei titolari dell’oicium ad acquisire, almeno in sede locale, la guida esclusiva e incondizionata del negotium idei. si tratta di un fenomeno che nemmeno le inchieste papali valsero a sanare, dato che si protrasse a lungo, ancora nel corso del Trecento inoltrato, non solo a livello di gestione inanziaria, bensì – con la probabile complicità di consilia compiacenti – anche procedurale91. 90 «[Frater nicholaus cremonensis et frater daniel de Iosano inquisitores heretice pravitatis] requisierunt consilium […] sapientum: utrum relapsi omnes communiter relinquendi sint brachio seculari ignibus conburendi. et omnium sententia fuit nemine discrepante quod secundum legem domini Federici, que sic incipit: ‘Item mortis sententie’ etc., soli illi relapsi relinquendi sunt brachio secculari qui tracti ad iudicium in extremo vite periculo heresim abiurantes, in eandem heresim postea comiserunt. alii vero relapsi puniendi sunt sive per carcerem perpetuum sive immurationem sive per aliam penam ad arbitrium inquisitorum, prout eis melius videbitur expedire» (cfr. infra, consilium n. 25). 91 esempliicativa è ad esempio la norma stabilita dal capitolo generale dei predicatori tenutosi a Firenze nel 1321, con cui si esortarono i priori provinciali ad indagare sugli eccessi commessi dagli inquisitori anche sul piano operativo e a ricondurli al rispetto della regola («volumus et ordinamus, quod provinciales diligenter inquirant de excessibus inquisitorum heretice pravitatis sive in modo procedendi sive in extorsione pecuniarum seu eciam in pompis et victu et vestitu et observancia regulari»); analoghe ammonizioni furono reiterate, evidentemente con scarso successo, dai capitoli generali di Bordeaux nel 1324, di venezia nel 1325 e di le puy nel 1344 (acta capitulorum, pp. 134, 153, 158, 295).
ISBN 978-88-7395-658-7 9 788873 956587 Riccardo Parmeggiani I CONSILIA PROCEDURALI PER L’INQUISIZIONE MEDIEVALE (1235-1330) I CONSILIA PROCEDURALI PER L’INQUISIZIONE MEDIEVALE (1235-1330) Riccardo Parmeggiani (Bologna, 1973) è dottore di ricerca in Filologia romanza e cultura medievale dell’Università di Bologna. Ha partecipato a convegni internazionali sull’Inquisizione medievale, pubblicando numerosi saggi sull’argomento. È autore di una recente monograia su Il vescovo e il Capitolo: il cardinale Niccolò Albergati e i canonici di S. Pietro di Bologna (14171443). Un’inedita visita pastorale alla cattedrale (1437) (Bologna 2009). Parmeggiani Il volume è dedicato allo studio e alla repertoriazione dei pareri giurisprudenziali inerenti alla procedura sollecitati dagli inquisitori nel primo secolo di vita dell’Inquisizione. La raccolta, che comprende molti documenti inediti, pubblicati in forma critica, è accompagnata da un approfondimento di carattere tipologico e dall’analisi degli sviluppi di alcuni temi procedurali oggetto di privilegiata attenzione da parte dei consilia. La fonte considerata inluì in maniera sostanziale nella deinizione del “codice inquisitoriale”, dapprima supplendo ai vuoti normativi congeniti alla rapida gestazione del negotium idei, poi venendo piegata dai giudici della fede a proprio vantaggio allo scopo di afermare le prerogative capaci di garantire loro la più completa autonomia nella conduzione dell’oicium. L’importanza dei consilia procedurali è ulteriormente sottolineata dallo spessore dei loro autori, tra cui infatti compaiono sia famosi giuristi, del calibro di Francesco d’Accursio, Dino del Mugello, Cino da Pistoia e Giovanni d’Andrea, sia i più inluenti ecclesiastici dell’epoca, come i futuri ponteici Clemente IV (Gui Foucois), Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini) e Bonifacio VIII (Benedetto Caetani). € 40.00 Bononia University Press